Problemi ai neonati per uso Dolutegravir in gravidanza

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Lo studio Tsepano ha evidenziato difetti del tubo neurale nei neonati nati da donne esposte a all’antiretrovirale al momento del concepimento.

I risultati preliminari dello Studio Tsepano di sorveglianza sull’uso di Dolutegravir in gravidanza finanziato da NIH/NICHD e condotto in Botswana, mostrano un numero di anomalie congenite, denominate difetti del tubo neurale (neural tube defects – NTDs), più elevato rispetto a quanto atteso. 

Sono stati segnalati 4 casi di difetti del tubo neurale (neural tube defects – NTD) su 426 bambini nati da donne che, al momento del concepimento, erano in trattamento con Dolutegravir come parte della terapia antiretrovirale di combinazione. Ciò rappresenta un’incidenza di circa lo 0,9%, più elevata di quella attesa.  

Il Dolutegravir è stato testato in un programma completo di studi di tossicologia della riproduzione, compresi studi sullo sviluppo embrio-fetale, e non è stato identificato alcun tipo di segnale indicativo di tossicità a livello embrionale. Questi modelli animali generalmente sono predittivi della teratogenicità indotta da farmaci ed è piuttosto insolito osservare un effetto nell’uomo se non vi è stata evidenza di tale effetto nei modelli animali.   

Sebbene esista un’esperienza limitata sull’uso di Dolutegravir in gravidanza, attualmente non vi sono altri segnali di anomalie congenite (inclusi NTD) associate all’uso di Dolutegravir durante la gravidanza. ViiV tiene a precisare che non sono è osservata alcuna evidenza da nessuna delle altre fonti di dati, incluso l’Antiretroviral Pregnancy Registry, gli studi clinici e la sorveglianza post-marketing. 

ViiV Healthcare ha immediatamente informato le Autorità Regolatorie competenti che stanno valutando la situazione.  Nel frattempo sono state definite misure precauzionali per l’impiego di Dolutegravir nelle donne che pianificano una gravidanza.  ViiV ha predisposto una lettera informativa (Dear HCP letter) il cui testo e la lista di distribuzione sono in fase di revisione con AIFA e che verrà inviata non appena sarà possibile a tutti gli operatori sanitari interessati

Per anticipare i tempi di informazione ViiV ha ritenuto di inviare preliminarmente una comunicazione gli infettivologi interessati e alle associazioni di persone LGBT, con HIV o che operano in questo ambito. ViiV Healthcare proseguirà nella ri-valutazione dell’intero corpo di dati relativi all’impiego di DTG in gravidanza ed esplorerà ulteriori opzioni per la generazione dei dati. Inoltre stiamo lavorando in stretta collaborazione con gli interlocutori esterni, inclusi WHO e gli sperimentatori coinvolti nello studio Tsepamo.  

Su sito di AIFA è trovare le raccomandazioni stabilite con l’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) sull’impiego di Dolutegravir nelle donne che pianificano una gravidanza.

http://www.agenziafarmaco.gov.it/content/comunicazione-ema-su-dolutegravir-18052018

WE TEST – Mettiamo la salute in circolo

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In occasione della giornata mondiale di lotta all’ AIDS, le associazioni Anddos, Arcigay, ASA – Associazione Solidarietà AIDS Milano, Ireos, Circolo Mario Mieli, Plus Onlus, promuovono l’iniziativa “WE TEST – Mettiamo la salute in circolo”.

In dieci città, Torino, Milano, Padova, Verona, Desenzano del Garda, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Catania, presso le sedi di diversi circoli e associazioni sarà possibile effettuare gratuitamente, in forma anonima, nel rispetto della privacy, il test rapido HIV e saranno fornite informazioni essenziali sulla prevenzione e l’importanza dei test sulle IST.

L’iniziativa è promossa grazie alla sinergia tra associazioni che da anni operano sul territorio mettendo a disposizione della comunità risorse umane e know how.

L’obiettivo di “WE TEST” mira a potenziare e a rendere continuative le esperienze di collaborazione già in essere fra le varie realtà promotrici con lo scopo di riaccendere i riflettori su un tema sempre più trascurato.

Gli ultimi dati dell’Istituto Superiore di Sanità parlano chiaro: 3451 nuovi casi di HIV nell’ultimo anno e 778 casi di AIDS conclamato. L’incidenza più alta è stata osservata tra le persone nella fascia 25-29 anni (14,7 nuovi casi ogni 100.000 residenti). Infine, abbiamo conosciuto quest’anno un’emergenza di epatite A ed è stato confermato più volte il dato, secondo il quale, dal 2000 ad oggi la sifilide sia aumentata del 400%.

Il dato maggiormente preoccupante riguarda tuttavia la non conoscenza del fenomeno tra la popolazione: nell’ ultimo decennio è aumentata la proporzione delle persone con nuova diagnosi di AIDS che ignorava la propria sieropositività e ha scoperto di essere HIV positiva nei pochi mesi precedenti la diagnosi di AIDS conclamato: si è passati dal 20,5% del 2006 al 76,3% del 2015 e, in numeri assoluti, dal 2010 le diagnosi più numerose sono state riportate tra MSM. Un aumento impressionante che ci dà la misura di come si sia abbassata la guardia in termini di investimenti nelle politiche di prevenzione.

Con questa iniziativa vogliamo riportare al centro dell’attenzione l’importanza dei test sulle infezioni sessualmente trasmesse che, insieme all’uso del preservativo, sono tra i principali alleati per una sessualità consapevole e sicura: conoscere la propria condizione di salute consente infatti di curarsi per tempo, vivere bene ed evitare la diffusione delle infezioni. 

 

VENERDI’ PRIMO DICEMBRE,

GIORNATA MONDIALE PER LA LOTTA CONTRO L’AIDS,

ASA SARA’ AL COMPANY CLUB DI VIA BENADIR 14 A MILANO

CON IL TEST RAPIDO CAPILLARE, DALLE 23 ALLE 2 FACEBOOK/WETESTRAPID

 

 

In Italia la battaglia contro l’Aids non è stata ancora vinta

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In Italia la battaglia contro l’Aids non è stata ancora vintaIn Italia la battaglia contro l’Aids non è stata ancora vinta

Di Maurizio Calipari
Il numero delle nuove diagnosi di infezione da Hiv (nel 2014 sono state 3695) è stabile e colloca il nostro Paese al 12°posto tra quelli dell’Unione europea. L’incidenza è pari a 6,1 nuovi casi per 100mila residenti.

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Arriva il super profilattico che ferma l’Hiv anche se si rompe

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Arriva il super profilattico che ferma l’Hiv anche se si rompeArriva il super profilattico che ferma l’Hiv anche se si rompe
Messo a punto nei laboratori del Texas A&M University Health Science Center, potrebbe già entrare in commercio l’anno prossimo

C’è già chi lo chiama Super Condom. Un po’ perché sarebbe in grado di bloccare il virus dell’Hiv anche in caso di rottura, un po’ perché promette di aumentare il piacere sessuale come mai un profilattico aveva fatto prima d’ora. Arriva direttamente dai laboratori del Texas A&M University Health Science Center quello che promette di diventare un contraccettivo davvero rivoluzionario: a metterlo a punto, una squadra di ricercatori guidati dalla dottoressa Mahua Choudhery, che ai microfoni della Bbc ha spiegato tutte le caratteristiche dell’innovativo prodotto.

Il profilattico in questione contiene infatti uno speciale gel a base di acqua (tendenzialmente a prova di allergie) che uccide il virus dell’Hiv e ne ferma la propagazione in caso di rottura. Non solo: all’interno del condom si trovano anche sostanze antiossidanti che vanno ad agire sulle terminazioni nervose del pene, aumentando il piacere sessuale. Un modo per tentare di convincere a utilizzare il preservativo anche coloro che sostengono di risentirne in sensibilità. Il prodotto potrebbe già entrare in commercio il prossimo anno, al costo unitario (assolutamente accessibile) di circa un dollaro.

Fonte: gqitalia.it

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Prevenzione della trasmissione materno-fetale

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Prevenzione della trasmissione materno-fetaleUn regime antiretrovirale combinato contenente l’inibitore dell’integrasi raltegravir (Isentress) si è mostrato sicuro ed efficace, e può rappresentare una valida opzione terapeutica per le donne HIV-positive in stato di gravidanza – e potenzialmente anche per i nascituri – per impedire la prevenzione della  trasmissione perinatale del virus: sono i risultati di uno studio presentato la scorsa settimana a IAS 2015.

 

 

Le attuali linee guida europee e statunitensi raccomandano in linea generale che le donne in gravidanza assumano la stessa terapia antiretrovirale combinata (ART) somministrata agli altri adulti HIV-positivi. Le linee guida degli Stati Uniti, tuttavia, considerano il raltegravir un’opzione ‘alternativa’ perché non ci sono ancora dati sufficienti circa la sua assunzione durante la gravidanza. Però è un farmaco estremamente rapido nell’abbattimento della carica virale, e per questo può essere particolarmente utile impiegarlo quando per esempio una donna si presenta alle cure in gravidanza già avanzata, senza aver ricevuto cure prenatali, e ha urgente bisogno di abbassare rapidamente la carica virale prima del parto; oppure anche per donne che subiscono un fallimento terapeutico durante la gravidanza o che hanno un virus farmacoresistente.

Uno studio condotto in Thailandia, anch’esso presentato a IAS 2015, ha mostrato che un’intensificazione della terapia antiretrovirale – con una profilassi a base nevirapina oltre alla triplice terapia standard per la madre, e ulteriori quattro settimane di profilassi antiretrovirale anziché una per il bambino – era utile nella prevenzione della trasmissione del virus in caso la madre si fosse presentata tardivamente alle cure o avesse assunto la ART per meno di otto settimane prima del parto.

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Studi dimostrativi sulla PrEP

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Studi dimostrativi sulla PrEPOltre a essere ricordata come la Conferenza del ‘90-90-90’, IAS 2015 resterà nella memoria anche come la Conferenza dove la profilassi pre-esposizione (PrEP) è passata dalla sperimentazione puramente clinica all’impiego nel mondo reale.

Dopo che sono stati presentati gli studi sui regimi programmaticamente intermittenti (come riferito la settimana scorsa), a IAS 2015 è stato anche dedicato spazio ai risultati di studi dimostrativi (demonstration studies) disegnati per valutare l’efficacia della PrEP nel ‘mondo reale’, al di fuori delle sperimentazioni cliniche.

Oggetto di questi studi è stato l’impiego della PrEP in regimi a base di tenofovir e emtricitabina ad assunzione giornaliera, in svariati contesti degli Stati Uniti. Dai risultati è emerso che chi assume la PrEP con maggiore regolarità sono proprio coloro maggiormente esposti al rischio di trasmissione.

L’US Demo project, un progetto dimostrativo statunitense, ha indagato l’assunzione della PrEP in uomini gay e bisessuali e donne transgender nelle città di San Francisco, Miami e Washington, riscontrando nel corso di un anno di follow-up un’aderenza dell’85%. I livelli di aderenza più elevati si sono registrati tra quei partecipanti che dichiaravano di aver avuto rapporti non protetti con due o più partner nei tre mesi precedenti. L’aderenza è risultata notevolmente inferiore tra i partecipanti di Miami: se a San Francisco è arrivata al 90% e a Washington all’88%, a Miami si è fermata al 65%. Il gruppo di Miami era composto da partecipanti generalmente più giovani, spesso di colore e con livelli leggermente meno elevati di comportamenti a rischio HIV. È stata inoltre rilevata una forte associazione tra aderenza e appartenenza etnica: ben il 97% dei partecipanti bianchi presentavano livelli ematici di tenofovir che dimostravano l’assunzione di quattro o più dosi la settimana, contro il 77% dei partecipanti ispanici e solo il 57% di quelli di etnia nera.

Lo studio ATN 110 dell’Adolescent Trials Network ha invece arruolato 200 giovani maschi gay e bisessuali in 12 città statunitensi. Anche in questo caso sono state rilevate oscillazioni nell’aderenza alla PrEP in base all’appartenenza etnica, con livelli più bassi riscontrati nei partecipanti di etnia nera. Quattro persone hanno contratto l’HIV nel corso dello studio, all’8°, 32°, 40° e 48° settimana – il che equivale a un tasso di incidenza annuale del 3,29% all’anno tra i partecipanti. Tutti e quattro avevano assunto la PrEP in qualche momento dello studio, ma nessuno presentava livelli rilevabili di tenofovir nel sangue durante la visita in cui è stata loro diagnosticata l’infezione da HIV.

“ATN 110 ha il merito di aver avvicinato alla PrEP dei giovani MSM che sarebbero eleggibili al trattamento”, ha commentato uno degli autori, la dott.ssa Sybil Hosek.

“Il tasso di incidenza dell’HIV è stato elevato in confronto a quello riscontrato in altri studi aperti, ma – dato l’alto numero di infezioni sessualmente trasmesse incidenti – probabilmente sarebbe stato ancora più elevato se non fosse stata assunta la PrEP.”

“Si tratta di giovani che raramente hanno un’assicurazione medica o si rivolgono ai servizi sanitari. Sono necessarie ulteriori ricerche sulle convinzioni relative alla salute dei partecipanti e sul loro livello di fiducia nella PrEP per capire come promuoverne l’uso.”

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Terapia come prevenzione HIV per i consumatori di stupefacenti per via iniettiva

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Terapia come prevenzione HIV per i consumatori di stupefacenti per via iniettiva“A Vancouver si è parlato molto dei successi della Terapia come Prevenzione, ma bisogna mettere bene in chiaro che la TasP richiede l’integrazione di più approcci”, ha affermato il dott. Evan Wood dell’Università del British Columbia durante una presentazione in plenaria di IAS 2015, la scorsa settimana.

 

 

 

In British Columbia, le diagnosi di HIV tra i consumatori di sostanze stupefacenti per via iniettiva (IDU) sono crollate di oltre il 90% dal picco storico dell’epidemia nel 1996. Questo successo, ha spiegato Wood, è dovuto a una combinazione di interventi di responsabilizzazione della collettività, riduzione del danno, trattamento delle dipendenze e accesso universale a cure e trattamento dell’HIV. Ciò nonostante restano da superare ostacoli notevoli come la criminalizzazione e l’emarginazione di chi fa uso di droga.

“Il successo della TasP nei consumatori di stupefacenti di Vancouver è stato fenomenale”, ha commentato in un’altra sessione il professor Julio Montaner, collega di Wood. “Il motivo per cui si è rivelata così efficace è che c’è una sinergia tra distribuzione di siringhe sterili, somministrazione controllata nelle sale di iniezione, programmi sostitutivi con metadone e offerta della TasP.”

Nel 2006, solo il 30% degli IDU presi in carico assumevano la terapia antiretrovirale e avevano una carica virale non rilevabile: nel 2012, erano saliti al 71%.

Sono stati attuati notevoli sforzi per agganciare gli IDU ai servizi per l’HIV e la riduzione del danno, che sono sempre completamente gratuiti per chi ne ha bisogno.

Alla Conferenza si è parlato anche di un progetto di peer education in Ucraina che è riuscito a ridurre del 41% le infezioni da HIV negli IDU. Si tratta di uno studio con randomizzazione a grappolo che ha arruolato individui con rischio HIV particolarmente elevato (ogni anno, uno su tre contraeva il virus). Si ritiene che il successo dell’intervento sia da attribuirsi al fatto che aiutava queste persone a usufruire di più dei programmi di distribuzione di siringhe sterili.

Nello studio, degli IDU che avevano usufruito di questi programmi ed erano ormai in recupero hanno contattato e arruolato altri 1205 IDU HIV-negativi.

Il 50% di loro sono stati randomizzati, come gruppo di controllo, per ricevere l’intervento standard: un programma educativo e di counselling molto simile a quello tipicamente proposto dall’Istituto Nazionale per l’abuso di droghe degli Stati Uniti.

All’altro 50% è stato proposto, oltre al programma educativo e di counselling, anche l’intervento di peer-education, ossia venivano istruiti per reclutare e informare altri membri del loro gruppo di popolazione sulle pratiche di riduzione del danno. Il loro training era affidato a degli operatori di prossimità, era strutturato e prevedeva esercizi di role-playing. A tutti i ‘leader’ che avevano seguito questo training veniva chiesto di coinvolgere nel programma due loro conoscenti che facevano uso di droghe. Si tratta dunque di un intervento basato sui principi dell’apprendimento sociale, identità sociale, norme sociali e diffusione sociale.

Tetiana Deshko dell’International HIV/AIDS Alliance, sezione ucraina, ha dichiarato alla Conferenza che gli interventi di riduzione del danno attuati in alcune parti dell’Ucraina, grazie anche al supporto internazionale, sono riusciti a ridurre l’incidenza HIV tra gli IDU, ma che con l’attuale instabilità politica e l’influenza della Russia (in particolare nella regione di Donetsk) gli approcci per la tutela dei diritti umani e per la salute pubblica che erano stati introdotti sono di nuovo a rischio.
Link collegati

Articolo sulla presentazione del dott. Wood su aidsmap.com
Articolo sul progetto in Ucraina su aidsmap.com

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Nuovi antiretrovirali

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Sono in fase di sviluppo nuovi antiretrovirali che possono offrire vantaggi come una miglior tollerabilità e una riduzione degli effetti collaterali a lungo termine: è quanto emerge dai dati di alcuni studi presentati a IAS 2015.

Il tenofovir alafenamide (TAF) è una nuova formulazione del tenofovir in grado di raggiungere concentrazioni più elevate nelle cellule infettate dall’HIV e meno elevate nel plasma: l’esposizione al farmaco di reni, ossa e altri organi e tessuti è inoltre più limitata. Uno studio di fase 3, condotto su pazienti con esperienze pregresse di trattamento e con funzionalità renale nella norma, che hanno effettuato uno switch terapeutico alla nuova formulazione del tenofovir, ha evidenziato che chi era passato da un regime a base di Atripla o atazanavir/Truvada a uno a base di TAF (10mg), emtricitabina (200mg), elvitegravir (150mg) e cobicistat (150mg) otteneva una migliore risposta virologica, mentre chi veniva da un regime a base di Stribild mostrava una risposta pressappoco uguale. Chi passava al TAF aveva ripercussioni positive sui marcatori di funzionalità renale, mentre chi manteneva il regime con l’attuale formulazione del tenofovir (TDF) mostrava un peggioramento. La densità minerale ossea (bone mineral density, BMD) nella regione spinale aumentava in media dell’1,79% nel braccio del TAF e invece diminuiva, sempre in media, dello 0,28% in coloro che continuavano ad assumere il regime TDF.

Resoconto completo dello studio sul TAF su aidsmap.com

 

FONTE: aidsmap.com

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Test HIV fai-da-te : efficacia e incertezze

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Test HIV fai-da-te : efficacia e incertezzeL’HIV autotest può aiutare le persone ‘difficili da raggiungere’ a conoscere il loro status, ma restano incertezze sul modo migliore con cui metterlo a disposizione, a quale popolazione e con che tipo di supporto. Così, mentre l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha chiaramente segnalato l’entusiasmo per l’approccio, la sua nuova guida sul test HIV in realtà non lo consiglia.

 

La guida è stata lanciata in occasione dello IAS 2015 a Vancouver, la scorsa settimana, dove sono stati presentati anche alcuni studi sull’ auto-test.
L’OMS definisce i test autodiagnostici HIV come “un processo in cui un individuo che vuole conoscere il proprio stato, raccoglie un campione, esegue un test e interpreta il risultato per se, quasi sempre in privato”. Viene affermato che i risultati dell’ auto-test HIV possono essere precisi, purché vengano utilizzati kit per il test opportunamente regolamentati e le istruzioni del produttore vengano attentamente seguite. Ma un auto-test non può da solo fornire una diagnosi di HIV, che richiede comunque un test di conferma in una struttura sanitaria.

L’OMS ritiene che, dando alle persone la possibilità di testare in modo discreto e comodo l’HIV, si può aumentare la diffusione del test tra le persone non raggiunte da altri servizi, molte delle quali non lo hanno mai fatto. Descrive varie possibilità per la consegna e distribuzione dei kit auto-test:

Libero accesso : prodotto da banco in farmacia o nei generi alimentari, ordinato da siti web, o distribuito da distributori automatici.
Distribuzione semi-limitata da operatori sanitari di comunità
Distribuzione più restrittiva da operatori sanitari in ambito clinico.

Nel secondo e terzo approccio, un’ulteriore opzione è per un operatore sanitario che può essere presente o disponibile, mentre la persona effettua la prova. Questo potrebbe offrire supporto ed un collegamento con strutture di cura, se necessario. Tuttavia, la loro presenza potrebbe compromettere l’attrattiva dell’ auto-test per le persone preoccupate della riservatezza, mentre la distribuzione clinica è improbabile per raggiungere le persone riluttanti ad accedere a strutture sanitarie.
L’incertezza circa i pro e i contro dei diversi approcci con diversi gruppi di persone significa che l’Organizzazione Mondiale della Sanità non dà per il momento alcuna raccomandazione, ma che sta lavorando con vari collaboratori per generare le prove necessarie per formulare consigli e ulteriori indicazioni su questo argomento.

Un importante lacuna si riferisce all’ applicazione in Paesi a risorse limitate con gli uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini (MSM), i sex workers, le persone che si iniettano droghe (IDU) e altre popolazioni vulnerabili. Nei luoghi in cui è presente forte stigma sociale , preoccupazioni sulla riservatezza e i servizi sanitari sono di difficile accesso, l’auto-test può avere particolari vantaggi per questi gruppi in termini di privacy e autonomia.
Peter MacPherson della Liverpool School of Tropical Medicine ha affermato di essere a conoscenza di 20 studi su auto-test tra la popolazione generale nei paesi africani, ma di questi solo sei tra le popolazioni vulnerabili. Ci sono anche pochi dati sugli adolescenti e gli anziani, nonostante il test HIV abbia una bassa diffusione in questi gruppi.

Harsha Thirumurthy della University of North Carolina ha descritto un progetto che prevedeva di fornire a donne keniote il kit di auto-test per sè incoraggiandole a distribuire kit aggiuntivi a persone che conoscevano. Presso le cliniche prenatali e dopo il parto, alle donne sono state dati due kit extra, che sono stati principalmente dati ai partner e alle amiche.
Il progetto è riuscito ad aiutare le coppie fornendo il test anche agli uomini, che sono generalmente difficili da raggiungere. Inoltre, la proporzione di risultati HIV-positivi è stata elevata: 5% tra le donne in gravidanza e 15% nei test offerti a sex workers che li hanno anche ditribuiti ai clienti.
Mentre gli auto-test possono essere usati da soli e in privato, alcune persone hanno scelto di provarli in presenza di un amico o del partner. Tre quarti dei kit di test distribuiti dalle donne keniote sono stati utilizzati mentre erano nella stanza in presenza di molte coppie, anche se ciò non era stato suggerito dai ricercatori.
E’ stato presentato anche il primo studio di auto-test nelle donne transgender. Una popolazione altamente emarginata (molte senza casa e venditrici del proprio corpo), dove quasi tutte le partecipanti hanno affermato che i test erano facili da usare. Due terzi lo preferirebbero al test classico ma il costo superiore ai $ 20 è proibitivo. Anche per un quarto delle donne transgender l’ auto-test è stato effettuato con qualcun altro presente. Sheri Lippman della University of California, ha detto che i dati qualitativi di questo progetto hanno evidenziato i difficili compromessi tra privacy e supporto. Sono state espresse preoccupazioni sulla riservatezza e la stigmatizzazione negli ambienti clinici, ma il sostegno sociale ed emotivo sono comunque importanti come il valore di avere un amico stretto presente durante il test.

L’unica popolazione vulnerabile per la quale esistono prove evidenti sull’ auto-test è quella degli uomini gay americani. David Katz della University of Washington ha presentato uno studio randomizzato su 230 uomini gay , metà ha ordinato i kit auto-test tramite la posta elettronica e l’altra metà ha avuto solo l’accesso ai servizi di test esistenti. Coloro che hanno accesso all’ auto-test lo hanno eseguito più frequentemente, il 76% almeno ogni tre mesi (come i ricercatori avevano consigliato), rispetto al 54% di quelli del gruppo di controllo. Non ci sono state differenze nel comportamento sessuale.
Il più grande studio sull’ auto-test finora

Finanziato da UNITAID, in collaborazione con PSI UNITAID HIV STAR PROJECT è in esecuzione il più grande studio mondiale di valutazione del test fai-da-te per HIV fino ad oggi. Diversi modelli di distribuzione self-test, sia per la popolazione generale che per le popolazioni chiave, saranno sperimentate in Malawi, Zambia e Zimbabwe. UNITAID HIV STAR PROJECT ha esperienza nel marketing sociale per preservativi, contraccettivi, zanzariere trattate con insetticida e altri prodotti per la salute. Un’attività di comunicazione e di distribuzione solide contribuiscono ad assicurare ampia accettazione e l’uso corretto dei prodotti.
Studi pilota genereranno informazioni su come distribuire i prodotti auto-test in modo efficace, etico ed efficiente, e risponderanno alle domande chiave su fattibilità, accettabilità e impatto dell’intervento. I risultati verranno utilizzati per sviluppare linee guida e per sostenere l’integrazione dell’ auto-test nelle politiche nazionali. Eliminando gli ostacoli normativi e mostrando la dimensione probabile del mercato per i test HIV fai-da-te, il progetto spera di incoraggiare i produttori a entrare nel mercato in modo da aumentare l’accesso al test HIV.

Fonte: Aidsmap

Traduzione a cura di Poloinformativohiv

References

World Health Organization Consolidated guidelines on HIV testing services, 2015.

MacPherson P Home-testing and initiation of ART in Africa. Eighth International AIDS Society Conference on HIV Pathogenesis, Treatment and Prevention (IAS 2015), Vancouver, Canada, presentation WESY0103, 2015.

You can download the slides of this presentation from the conference website.

A webcast of this presentation is available on the conference YouTube channel.

Thirumurthy H et al. Acceptability and feasibility of a novel approach to promote HIV testing in sexual and social networks using HIV self-tests. Eighth International AIDS Society Conference on HIV Pathogenesis, Treatment and Prevention (IAS 2015), Vancouver, Canada, abstract MOAC0302LB, 2015.

Lippman S et al. Home HIV testing among transgender women in San Francisco: a pilot feasibility and acceptability study. Eighth International AIDS Society Conference on HIV Pathogenesis, Treatment and Prevention (IAS 2015), Vancouver, Canada, abstract MOPDC0104, 2015.

You can download the slides of this presentation from the conference website.

Katz D et al. HIV self-testing increases HIV testing frequency among high-risk men who have sex with men: a randomized controlled trial. Eighth International AIDS Society Conference on HIV Pathogenesis, Treatment and Prevention (IAS 2015), Vancouver, Canada, abstract MOPDC0103, 2015.

You can download the slides of this presentation from the conference website.

Where available, you can view details of sessions, view abstracts, download presentation slides and find webcasts using the conference ‘Programme at a Glance’ tool.

You can also download a PDF of the abstract book from the conference website.

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Prevenzione HIV per i migranti in Europa

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Prevenzione HIV per i migranti in EuropaFino a poco tempo fa si tendeva a dare per scontato che i migranti africani a cui veniva diagnosticato l’HIV nei paesi europei avessero contratto l’infezione prima di arrivare in Europa. Gran parte di queste persone proviene infatti da paesi ad altissima prevalenza HIV.

 

 

 

Se la trasmissione si verifica prevalentemente prima della migrazione, la priorità per i servizi sanitari europei sono i programmi di test e diagnosi. Se invece la trasmissione avviene in Europa, è opportuno che vengano attuati sforzi preventivi di più ampio respiro.

In Francia, i migranti che provengono dall’Africa sub-sahariana sono i più gravemente colpiti dall’HIV, rappresentando un quarto di tutte le persone HIV-positive del paese.

Tuttavia, uno studio presentato alla Conferenza sembra indicare che una porzione importante – tra un terzo e la metà – degli africani con un’infezione da HIV che vivono in Francia probabilmente hanno contratto il virus dopo aver lasciato l’Africa.

Per lo studio sono stati presi in considerazione 1031 migranti di origine africana che ricevevano cure per l’HIV in Francia, incrociando i dati sulle conte dei CD4 con le loro storie di vita per calcolare quando si era verificata la sieroconversione. Gli autori hanno concluso che un 35-49% di loro aveva contratto l’HIV dopo l’arrivo in Francia. Gli uomini, i giovani e coloro che vivevano in Francia da più tempo sono risultati i gruppi con probabilità più elevata di aver contratto l’infezione dopo la migrazione.

Sono dati simili a quelli riscontrati in uno studio condotto nel Regno Unito, in cui gli epidemiologi hanno calcolato che circa un terzo degli africani con diagnosi di HIV nel Regno Unito ha avuto la sieroconversione dopo essere immigrato.
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Resoconto completo su aidsmap.com

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