Il trapianto epatico costituisce l’unica terapia valida quando il fegato non è più in grado di sostenere le sue funzioni, per molte malattie epatiche terminali, per l’insufficienza epatica acuta e per alcune malattie metaboliche o congenite che implicano un coinvolgimento del fegato. 

Nonostante gli obiettivi raggiunti fino ad ora dal nostro paese, esiste ancora un enorme divario tra il numero dei pazienti in lista d’attesa e i trapianti effettuati. I dati ufficiali di mortalità in lista di attesa in Italia mostrano come la media nazionale di mortalità in lista di attesa si aggiri tra il 5.1% del 2002 al 7.4% del 2007 con un evidente trend in crescita. 

Per decidere quali pazienti inserire in lista trapianti , si valuta il grado di malattia con un indicatore di severità (MELD o Child-Turcotte-Pugh) e si valutano i pro e i contro associati alla manovra. 

Diversi studi dimostrano che il guadagno in termini di sopravvivenza è minore rispetto ai rischi dell’operazione per pazienti con MELD <15. Pertanto appare prudente non trapiantare pazienti con MELD <15, eccetto che in presenza di ad altre patologie (es. epatocarcinoma). 

Per essere ritenuto idoneo al trapianto, il paziente deve essere sottoposto ad una serie di esami non solo per valutare la gravità della malattia epatica, ma anche per escludere la presenza di malattie extraepatiche che controindichino l’intervento. Tra le controindicazioni assolute al trapianto epatico figurano: neoplasie maligne extraepatiche in atto o pregresse con follow-up inferiore a 5 anni, infezioni batteriche in atto, dipendenza da sostanze stupefacenti o abuso alcolico, malattie psichiatriche o neurologiche gravi, età > 70 anni, AIDS, malattie cardiopolmonari avanzate, trombosi neoplastica della vena porta, livelli di viremia da HBV elevata al momento del trapianto, epatocarcinoma fuori dai criteri di trapiantabilità. Tra le controindicazioni relative invece figurano: malattie polmonari e cardiache, intervento chirurgico maggiore precedente, obesità, trombosi parziale non neoplastica. 

Il paziente deve essere ritenuto idoneo dal punto di vista psichiatrico e, qualora l’anamnesi risulti positiva per abuso alcolico o di sostanze stupefacenti, deve dimostrare la totale astinenza da alcol e sostanze stupefacenti per un periodo non inferiore a 6 mesi. 

Essenziale è inoltre la presenza di un supporto familiare e sociale intorno al malato che gli permetta di affrontare il periodo non semplice dell'immediato post-trapianto.

L’infezione da HIV fino a pochi anni fa risultava essere una controindicazione assoluta al trapianto. Attualmente invece è possibile per i pazienti sieropositivi essere inseriti in lista trapianto in centri specializzati e all’interno di un protocollo sperimentale nazionale. Gli studi clinici hanno infatti dimostrato che la sopravvivenza dei pazienti sieropositivi dopo il trapianto è paragonabile a quella dei pazienti sieronegativi. Visto però l’alto rischio di infezione nel periodo post-trapianto, i pazienti sieropositivi candidati a trapianto devono presentare una situazione immuno-virologica stabile: conta di linfociti CD4+ circolanti stabilmente superiore ai 200/mmc nel paziente non in trattamento, conta dei linfociti CD4+ > 200/mmc stabile da almeno 12 mesi e HIV-RNA non rilevabile nei pazienti in trattamento, compliance al trattamento antiretrovirale, volontà da parte del paziente di proseguire la terapia antiretrovirale e le altre terapie necessarie. 

I criteri di esclusione alla candidabilità al trapianto epatico per pazienti HIV sieropositivi sono: diagnosi di patologie opportunistiche definenti l’AIDS negli ultimi due anni, positività di HHV8-DNA su sangue periferico, storia di neoplasia o malattia linfoproliferativa (tranne che per diagnosi di basalioma e carcinoma in situ della cervice con follow up negativo superiore ai 5 anni). 

L’intervento chirurgico prevede la sostituzione del fegato malato con un fegato sano di un donatore cadavere oppure con una parte di un fegato sano di un donatore vivente, di solito un parente stretto. La seconda opzione è resa possibile dal fatto che il fegato è un tessuto che ha la capacità di autorigenerarsi. Il periodo post-trapianto è quello più a rischio per il paziente, sia per la possibilità di rigetto sia per il rischio di sviluppare infezioni anche gravi. Per rigetto si intende una reazione infiammatoria del sistema immunitario del paziente contro il fegato trapiantato che viene riconosciuto come “corpo estraneo”. La reazione infiammatoria può essere talmente violenta da portare ad un danno irreversibile. E’ essenziale pertanto che il paziente si sottoponga in maniera continua alle visite presso il centro di riferimento e segua le terapie indicate. 

A seconda della tempistica con cui si sviluppa la reazione infiammatoria, ci troveremo di fronte ad una forma acuta o cronica di rigetto. La forma acuta si verifica in circa un quarto dei pazienti, in genere nelle prime due settimane dopo il trapianto. Il rigetto può avere vari gradi, da lieve a severo. La forma cronica è a lenta evoluzione e compare più tardivamente, anche se nella maggior parte dei casi viene riscontrata entro l’anno dal trapianto. Nella maggior parte dei casi la terapia medica è sufficiente a rallentare o controllare il rigetto, ma talvolta può rendersi necessario ricorrere ad un secondo trapianto. 

Per ridurre al minimo il rischio di rigetto, il paziente deve pertanto iniziare nell’immediato post trapianto una terapia immunosoppressiva che dovrà continuare per tutta la vita. Essa ha lo scopo di controllare la reazione immunitaria nei confronti dell’organo trapiantato. Il paziente deve inoltre sottoporsi a prelievi frequenti perché per molti farmaci immunosoppressori la dose da assumere giornalmente viene determinata in base alla concentrazione del farmaco nel sangue. 

I farmaci immunosoppressori più utilizzati nel periodo post-trapianto sono: 

1-Tacrolimus: viene assunto due volte al giorno. 

Possibili effetti collaterali: comparsa o peggioramento di diabete già esistente, gonfiore di mani e piedi, tremori, aumentato rischio di infezioni, dispepsia.

2-Ciclosporina: viene assunto due volte al giorno. 

Possibili effetti collaterali: aumento della pressione sanguigna, tremori, dispepsia, aumentato rischio di infezioni, gonfiore di mani e piedi, crescita eccessiva di peli, aumento di volume di gengive e infiammazione gengivale. 

3-Cortisone: viene utilizzato insieme agli altri farmaci per prevenire il rigetto, di solito in dosi decrescenti fino a sospensione dopo i primi mesi. In caso di rigetto acuto il cortisone viene somministrato a dosaggi più elevati tramite infusione endovenosa. 

Effetti collaterali: bruciori allo stomaco, digestione lenta, gonfiore al viso e alle mani e caviglie per ritenzione di liquidi, umento di peso dovuto all’aumento dell’appetito ma anche alla ritenzione di liquidi, aumento del rischio di infezioni, comparsa e peggioramento di diabete pre-esistente, disturbi cutanei come secchezza, maggior sensibilità al sole, acne, debolezza muscolare ed ossea, irritabilità, cataratta con riduzione della vista. 

E’ molto importante sospendere il farmaco gradualmente. Il cortisone inibisce l’attività delle ghiandole surrenali e la sua improvvisa sospensione può determinare un brusco calo di ormoni importanti per funzioni dell’organismo. 

4- Micofenolato: in genere utilizzato in associazione con altri farmaci come Tacrolimus, Ciclosporina e Cortisone. 

Effetti collaterali: diarrea, vomito, aumento del rischio di infezioni, inibizione del midollo con leucopenia.

5- Azatioprina:  utilizzato solo in particolari condizioni cliniche. La formulazione è in compresse da 50 mg e la dose giornaliera è solitamente di circa 100 mg da assumere dopo i pasti. 

Possibili effetti collaterali: maggior rischio di infezioni, nausea e vomito, leucopenia, modesta perdita di capelli. 

6- Rapamicina (sirolimus): esiste in sciroppo o in compresse da 1 mg. Nei casi in cui si assuma in associazione alla Ciclosporina è necessario assumere i due farmaci a 4 ore di distanza uno dall’altro. 

Possibili effetti collaterali: ulcere del cavo orale, aumento del colesterolo e trigliceridi, tachicardia, dolore addominale e diarrea, acne, dolori articolari, infezioni delle vie urinarie.

7- Everolimus:  nuovo farmaco immunosoppressore con proprietà antitumorali e con pochi effetti collaterali. E’ un farmaco promettente soprattutto perchè non determina danno renale come altri farmaci della sua categoria ed ha anche un potenziale effetto antitumorale, prevenendo la divisione delle cellule cancerose e riducendo il loro apporto sanguigno. E’ quindi particolarmente allettante per i pazienti che vanno incontro a trapianto di fegato con epatocarcinoma. 

Possibili effetti collaterali: leucopenia, anemia, piastrinopenia, aumento del colesterolo e trigliceridi, infezioni batteriche o fungine, alterazioni della coagulazione,dolori addominali, nausea e vomito 

8- Belatacept: immunosoppressore efficace contro il rigetto d’organo con una minor quota di effetti collaterali. Si è dimostrato un minor tasso di problemi renali, di dislipidemie e livelli di pressione arteriosa migliori. Già valutato con un certo successo nei trapianti di rene, sta ora trovando spazio anche nel trapianto di fegato, anche se sono necessari altri studi per una maggior definizione degli effetti a lungo termine. 

9- Thymoglobuline: anticorpo policlonale per la prevenzione del rigetto acuto. Rappresenta una possibile cura per il trattamento e la prevenzione del rigetto in pazienti sottoposti a trapianto di fegato, ma anche di rene, cuore e pancreas. Viene somministrato in associazione ad altri farmaci immunosoppressori. Nel 2005 è stata approvata l’estensione delle indicazioni anche in ematologia, nella profilassi della malattia acuta e cronica da trapianto verso ospite. 

Possibili effetti collaterali: reazioni immunomediate, infezioni, leucopenia, piastrinopenia. 

In aggiunta alla terapia immunospppressiva i pazienti possono dover assumere altri farmaci come la terapia antiipertensiva, diuretici, antisecretori gastrici e l’acido ursodessossicolico. Per proteggere le anastomosi vascolari del fegato trapiantato, i pazienti dopo l’intervento devono assumere l’aspirina per almeno 3 mesi per prevenire la chiusura dei vasi coinvolti nell’operazione. In alcuni casi l'assunzione è cronica. Nel caso dei portatori di infezione da HBV deve essere effettuata una terapia specifica per evitare la recidiva del virus dopo il trapianto. Inoltre nei primi 6 mesi dopo il trapianto si consiglia l’assunzione di Bactrim Forte per prevenire le infezioni.

 

Fonte: www.insiemecontrolepatite.com/it/