Droghe: In Italia rischio Aids per chi usa sostanze maggiore del 15% che in Europa

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Droghe: In Italia rischio Aids per chi usa sostanze maggiore del 15% che in Europa

In Italia il 43% delle persone che assumono sostanze per via iniettiva arriva tardi alla diagnosi da Hiv contro il 29% della media europea, a causa dello scarso uso del test. Urgente un piano nazionale per la riduzione del danno e un cambio di approccio alla questione.

“In Italia il 43% delle persone che assumono sostanze per via iniettiva arriva tardi alla diagnosi da Hiv, una percentuale ben maggiore di quella europea che è del 29%”: lo denuncia, in occasione della giornata internazionale sulle droghe, il presidente della Lega Italiana per la Lotta contro l’Aids (LILA) Massimo Oldrini. “La causa di questa situazione – spiega Oldrini – è da ricercarsi nell’assenza di offerta dei test nel 69,5% dei Sert italiani e nella completa assenza nel nostro paese di una politica di riduzione del danno”. “Questa situazione fa si che molte persone che consumano sostanze scoprono di avere l’Hiv solo quando il loro sistema immunitario è fortemente compromesso”, afferma Oldrini. “Insieme alla diagnosi di Hiv, viene quindi fatta quella di Aids, con gravi ripercussioni sia sulla salute degli individui sia sulla collettività”.

“L’offerta del test Hiv, la disponibilità di siringhe sterili e la terapia sostitutiva per i gruppi vulnerabili – come le persone che usano sostanze per via iniettiva – sono pratiche di riduzione del danno raccomandate dall’Organizzazione Mondiale della Salute e dall’Unaids che l’Italia sta ignorando completamente”, sottolinea il presidente della LILA. “In particolare la situazione è drammatica nelle carceri dove è vietato l’uso di siringhe e condom nonostante diversi studi abbiano affermato che vengono consumate droghe”.

“Valutiamo con favore la nuova apertura del Dipartimento per le Politiche Antidroga alle consultazioni delle organizzazioni della società civile – afferma Oldrini in riferimento al percorso avviato dalla struttura della Presidenza del Consiglio per la preparazione della prossima conferenza nazionale sulle dipendenze cui parteciperà la stessa LILA. A livello internazionale, in vista della prossima Assemblea Onu sulle droghe (Ungass 2016) la LILA auspica un cambio di scenario nell’approccio al tema, che comprenda la revisione delle convenzioni internazionali e la legalizzazione regolamentata delle sostanze, perché la criminalizazzione e l’illegalità nella quale sono costrette milioni di persone che usano droghe sono i miglior alleati dell’Hiv.

in occasione della Giornata internazionale sulle droghe (International Day Against Drug Abuse and Illicit Trafficking), indetta dall’Onu per il 26 giugno di ogni anno. In realtà, quello degli stupefacenti resta un problema serio nella nostra Penisola. In base ai dati diffusi pochi giorni fa dalla Polizia di Stato, nel 2014 sono stati registrati, rispetto all’anno precedente, incrementi nei sequestri di hashish (+211,29%), marijuana (+15,93%), eroina (+5,30%) e droghe sintetiche in dosi (+23,99%). Positiva, invece, la diminuzione di quelli di cocaina (-21,90%), droghe sintetiche in polvere (-56,32%), L.S.D. (-25,21%) e piante di cannabis (-86,41%).

Fonte: lila.it
west-info.eu

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S.T. Eye, il condom che diagnostica le malattie sessuali

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S.T. Eye, il condom che diagnostica le malattie sessuali

Concepito da tre adolescenti per il concorso Teen Tech Award, si tratta di un’idea rivoluzionaria che può aumentare la consapevolezza verso le patologie sessualmente trasmissibili: il condom cambia colore e diventa viola per il papillomavirus, verde per la clamidia, blu per la sifilide, giallo per l’herpes.

Ritardanti, stuzzicanti, aromatizzati, luminescenti, ultra-sottili, extra-resistenti, stimolanti: oggigiorno esistono preservativi per tutti i gusti, per tutte le esigenze, probabilmente concepiti per aumentarne l’utilizzo e la consapevolezza della loro importanza. Alcuni studenti hanno in questi giorni vinto il prestigioso Teen Tech Award di Londra per aver avuto un’idea rivoluzionaria: il primo condom intelligente, strumento di diagnosi oltre che di protezione e di prevenzione, che cambia colore se chi lo indossa è affetto da malattie sessualmente trasmissibili. Si chiama S. T. Eye, ed è stato concepito da tre adolescenti britannici della Isaac Newton Academy di Illford.Questo speciale tipo di preservativo possiede al suo interno uno strato interno di lattice impregnato di molecole che, messe a contatto con le principali malattie sessualmente trasmissibili, si attaccano batteri e virus inducendo una modifica del colore dell’oggetto: viola per il papillomavirus, verde per la clamidia, blu per la sifilide, giallo per l’herpes. Grazie a questa invenzione i ragazzi hanno conquistato il prestigioso Teen Tech Award, premio concepito per promuovere scienza e ingegneria nelle scuole che richiede ai suoi partecipanti di inventare una tecnologia che possa rendere il mondo migliore, o più semplice e comodo: la loro è stata dichiarata la miglior innovazione nel campo della salute, ed è valsa ai vincitori un premio di mille sterline e la possibilità di visitare Buckingham Palace.D’altronde, si tratta di uno strumento molto utile, visto che la diffusione di malattie sessualmente trasmissibili è purtroppo in crescita tra i giovani, che si espongono sempre più a comportamenti a rischio in quanto possiedono una percezione del pericolo piuttosto bassa: forse colpa, se così si può dire, della diminuzione della mortalità associata ad HIV e AIDS, un tempo autentico flagello e oggigiorno percepite come malattie non guaribili ma gestibili. D’altronde, le malattie sessualmente trasmissibili rappresentano un rischio da non sottovalutare per la salute di chi le contrae: per esempio la clamidia, patologia legata ad un batterio gram negativo, risulta spesso asintomatica nelle prime fasi fino a svilupparsi e diventare malattia pelvica infiammatoria, che pone il soggetto a rischio infertilità; o il papillomavirus, che in alcuni casi può provocare tumore del collo dell’utero, grave neoplasia che porta al decesso di circa il 50% delle donne che ne è affetto.

Per questo l’invenzione dei tre ragazzi inglesi, sebbene al momento rappresenti solamente un’idea, può risultare rivoluzionaria e salvare la vita di molte persone: sapere di essere affetti da una di queste patologie significa aumentare la consapevolezza a riguardo, curarsi tempestivamente e guarire prima che possano affacciarsi possibili complicazioni. Tra le altre trovate dei geniali adolescenti che hanno partecipato al concorso, di età compresa tra gli 11 e i 16 anni, si possono citare un fermacapelli collegato tramite connessione wifi che cambia colore in base ai vestiti di chi lo indossa, per aver sempre gadget abbinati; o un oggetto da infilare al polso per controllare il battito, sempre connesso al telefono cellulare, che possa subito chiamare numeri d’emergenza in caso di crisi. Questi giovani sembrano proprio avere il futuro nelle loro mani.

FONTE : Teen Tech Award, Isaac Newton Academy © 2015 sanihelp.it. All rights reserved.

Canale informativo: ilgiornale.it

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7000 addetti per 300mila malati. I SERD non bastano

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7000 addetti per 300mila malati. I SERD non bastanoLo scorso anno al tradizionale ruolo contro le tossicodipendenze, ai SERD è stato affidato anche quello su gioco d’azzardo, tabagismo, alcolismo. Mancano però mezzi e risorse per fare davvero prevenzione. Colloquio col prof. Alfio Lucchini, direttore del Dipartimento Dipendenze ASL Milano 2.

Direttore lei sta studiando da molti anni l’organizzazione e l’offerta di servizio dei SERD in Italia: queste strutture sono ancora utili, per far fronte alle tossicodipendenze? In effetti la mia esperienza supera ormai i 30 anni di impegno. Dallo scorso anno i vecchi Sert che risalivano al ’90 si sono trasformati in SerD – servizi pubblici per le dipendenze.
 Non è un fatto solo nominalistico, è cambiato il mandato dei Servizi: oggi dobbiamo affrontare tutto lo spettro delle dipendenze, legali ed illegali, da sostanze e da comportamenti.Gli operatori sono figure professionali pluridisciplinari, in grado di affrontare la complessità e plurifattorialità della patologia da affrontare, garantendo l’accesso diretto alle cure e ovviamente l’anonimato dei nostri pazienti. Il nostro è un lavoro che permette di ridurre o interrompere il consumo di droghe e di comportamenti dipendenti.
Di prevenire danni futuri associati al consumo di droghe o dei comportamenti di dipendenza, di ridurre fino ad abolire la assunzione, e anche la assunzione non sicura, delle droghe per via iniettiva al fine di prevenire la diffusione dell’HIV, dell’HCV e di altre malattie infettive. E quindi di migliorare la qualità della vita ed il benessere psichico del paziente, riducendo il rischio di overdose e le attività criminali.
Il bacino di utenza è enorme, circa 300.000 persone si sono rivolte nell’ultimo anno ai SerD e ai Dipartimenti delle Dipendenze: per questo penso che non solo vi sia la necessità dei SerD, che attualmente sono 550 nelle ASL italiane, ma è urgente che le Istituzioni se ne occupino maggiormente per valorizzarli dotandoli di maggior personale e strumenti. Esistono le statistiche ma anche la percezione che attesta la qualitá del nostro lavoro: un sondaggio del 2012 FeDerSerD/Eurisko ha indicato un 90% dei pazienti che valutano buona la accessibilità ai Ser.D. L’80% si dichiara soddisfatto della terapia in corso, l’80% ritiene di aver migliorato la propria condizione psico-socio-relazionale, il 75% afferma di avere avuto continuità terapeutica in carcere (se ha avuto questa esperienza). Infine il 90% ritiene soddisfacente il programma al SerD.
Quali servizi offrite e fino a che punto riuscite a farlo, per risorse, personale ed anche presenza sul territorio
La situazione del personale è problematica: negli ultimi dieci anni sono quasi raddoppiati i pazienti e il personale è rimasto bloccato a circa 7.000 unità. Garantire i livelli essenziali di assistenza che comprendono attività di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione è difficilissimo e in molte realtà già disatteso. Si continua a spendere in Italia meno dello 0,8% del fondo sanitario nazionale per la lotta alle dipendenze, mentre i costi sociali e sanitari incidono sul PIL per un valore in euro decine di volte superiore. Le differenze in capacità programmatoria e servizi offerti tra Regione e Regione e talvolta tra ASL della stessa Regione sono imbarazzanti.Come è cambiato nel corso di questi anni lo specifico di chi si rivolge ad un SERD?La cosa significativa è che ai SerD si presentano sempre più persone, giovani e meno giovani, considerabili “normali”. Ad esempio cittadini che sono incorsi in problemi legati alla guida per abuso di alcol o sostanze: parlo di decine di migliaia di utenti. O lavoratori, con particolari mansioni tipo quelle che prevedono movimentazioni, che sottoposti ad accertamenti per verificare l’uso di sostanze, sono risultati positivi ad almeno una sostanza. Insomma compiti di sanità pubblica. Per quel che riguarda le sostanze, in molte aree del Paese è la cocaina la droga più frequentemente utilizzata dai nuovi utenti dei SerD. Ma anche il poliabuso, sia di sostanze quali alcol e cocaina, o alcol e psicofarmaci, è sempre più rappresentato. E infine c’è il GAP, il gioco d’azzardo patologico, emergenza degli ultimi anni.I SERD riescono ad intercettare i nuovi tossicodipendenti, quelli del week-end, i ragazzi che usano solo droghe sintetiche, i milioni che fanno uso costante di cannabinoidi?
Credo non sia possibile pensare di intervenire su comportamenti che hanno pervaso la società in modo significativo e che hanno vissuti diversi, con i soli Servizi di accoglienza e cura. Ad esempio il consumo di cannabis: è assai diffuso, si valuta che oltre un terzo dei giovani ne abbia fatto uso, ma da noi arrivano quei 30mila che incorrono in problemi amministrativi o legali per averla assunta. La scelta centrale dovrebbe essere quella della prevenzione, e di interventi coordinati a livello dei territori, con centri aggregativi, unità mobili, servizi di approccio precoce.Oltre a queste strutture a suo avviso quale dovrebbe essere la risposta del pubblico per far fronte alle gravi tossicodipendenze? Le comunità di recupero, ad esempio, sono ancora progetti validi? Esiste la necessità di riflettere ed intervenire su situazioni di vita complicate, in cui la tossicodipendenza rappresenta la risposta incontrata per “proseguire a vivere”. Il termine cronicità non deve spaventarci, e le fragilità gravi richiedono interventi di lungo respiro. Le gravi dipendenze si caratterizzano per la possibile ciclicità della presentazione dei fenomeni di abuso e dipendenza. Quindi i SerD devono migliorare i percorsi legati alla intensità di cure, con interventi coordinati con il sistema della medicina territoriale. Il ruolo delle Comunità terapeutiche deve cambiare profondamente e diventare parte integrante dei progetti territoriali, con percorsi flessibili, in stretto rapporto con SerD. In linea generale le Comunità dovrebbero orientarsi su una maggiore specializzazione e modularità delle offerte.
I SERD dovrebbero occuparsi anche delle altre dipendenze, soprattutto alcol, ma anche fumo e gioco d’azzardo: avete modo di fare tutto? Ce ne occupiamo: in questo momento ad esempio di fatto solo i SerD prendono in cura giocatori d’azzardo patologico, circa 8.000. Per l’alcol 75.000 persone sono in cura nei servizi alcologici, di norma unità organizzative dei Servizi o dei Dipartimenti delle Dipendenze. Gli interventi di disassuefazione dal tabagismo al 65% sono curati dai Servizi delle Dipendenze e in modo minoritario da ambulatori ospedalieri o da associazioni di interesse. Ma torno a dire: dovrebbe essere l’insieme del sistema sanitario ad occuparsi di questi aspetti ritenuti da tutti centrali per la salute dei cittadini.
Fonte: rainews.it

 

Nasce la prima casa per omosessuali e transgender discriminati

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Nasce la prima casa per omosessuali e transgender discriminati Nasce la prima casa per omosessuali e transgender discriminati
„Il progetto, nato dall’unione di Cri e Gay Center, verrà presentato giovedì prossimo. Bonafoni (Sel): “Un segno dell’interesse non formale della Regione Lazio”. In sostegno della Anlaids Lazio“.

 

La prima casa di ospitalità per persone omosessuali e transgender sorgerà a Roma, e verrà dedicata a coloro che hanno subito violenze e discriminazioni e hanno bisogno di un rifugio. L’iniziativa sarà presentata giovedì prossimo a Palazzo Doria Pamphilj, in una serata di gala in favore delle attività di Anlaids Lazio e del progetto di Croce Rossa Italianae Gay Center.

Il progetto si chiama ‘Refuge Lgbt’, ed è nato in seno al comitato provinciale romano della Croce Rossa insieme all’associazione Gay Center con il sostegno della Regione Lazio: è la prima casa di ospitalità temporanea in tutta Italia. L’obiettivo è quello di aiutare le persone vittime di discriminazione a superare i traumi che hanno subito per il loro orientamento sessuale, restituendo loro autonomia tramite la riscoperta delle proprie risorse e della costruzione di nuove possibilità lavorative. La casa, gestita da personale qualificato, fornirà assistenza gratuita agli ospiti, integrando i suoi servizi con quelli offerti dal territorio. Nella struttura, anche la Croce Rossa di Roma offrirà supporto psicologico e legale, orientamento scolastico e professionale, oltre che mediazione culturale e con i servizi sociali.

Alla nascita della casa ha partecipato anche Anlaids Lazio: l’associazione, infatti, pone la prevenzione come punto focale dei suoi progetti rivolti ai più giovani, come quello dedicato alle scuole, che ha come obiettivo l’informazione sui rischi di contrazione del virus Hiv. Ogni anno, infatti, quasi la metà delle nuove infezioni interessa i giovani tra i 15 e i 30 anni.

Partner dell’iniziativa è Edge, la prima lobby italiana di professionisti, imprenditori e manager Lgbt.

“Il progetto Refuge Lgbt di Croce Rossa è rivolto alle persone vittime di discriminazioni, per offrire loro non solo accoglienza e supporto ma un vero e proprio punto di partenza per riprendere in mano la propria vita. Vogliamo partire da Roma per creare quella rete che segua il modello francese che ci ha ispirato” ha dichiarato Flavio Ronzi, presidente di Croce Rossa Roma.

 

Nasce la prima casa per omosessuali e transgender discriminati
„Entusiasta anche il commento di Marta Bonafoni, consigliera Sel alla Regione Lazio: “La realizzazione a Roma della prima casa di ospitalità per persone omosessuali e transgender che hanno subito violenze e discriminazioni, progetto della Cri e di Gay Center, con il contributo della Regione Lazio, è la prova dell’attenzione, non formale, che questa Amministrazione ha sul tema dei diritti e del rispetto delle diversità – è stato il suo commento, affidato a una nota – Prevenzione, educazione, sostegno psicologico e legale, ma anche intervento mirato a restituire gli strumenti e la fiducia per ripartire alle persone che hanno subito una ingiustizia così infame. Un impegno, quello della Regione Lazio, a tutto campo, e che in quest’ultimo caso dimostra una visione di lungo periodo su un tema così delicato e che riguarda in primis un diverso approccio culturale alle questioni di genere. Un fatto di cui andare orgogliosi”.“

Fonte: romatoday.it

 

No all’espulsione del cittadino extracomunitario affetto da HIV

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No all’espulsione del cittadino extracomunitario affetto da HIV
Michele Didonna – Avvocato amministrativista del foro di Bari

È illegittimo il diniego opposto avverso un’istanza di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, nel caso in cui il richiedente risulti sottoposto a un trattamento sanitario indifferibile e urgente somministrato da un’Azienda ospedaliera italiana in ragione della grave patologia da cui lo stesso risulta affetto.

 

La Sez. III del T.A.R. Palermo, con la sentenza 28 maggio 2015, n. 1252, ha chiarito come l’Amministrazione competente non possa rigettare un’istanza di rilascio di permesso di soggiorno per motivi umanitari nel caso in cui il richiedente gravemente malato abbia la necessità di avvalersi di cure mediche urgenti o comunque essenziali. Di talché, ha ritenuto illegittimo il diniego opposto dalla P.A. alla richiesta di rilascio di permesso di soggiorno presentata da un cittadino extracomunitario affetto da HIV e sottoposto a un trattamento sanitario indifferibile e non suscettibile di interruzione.

Fonte: quotidianogiuridico.it

 

 

 

U.E. – Droga in Europa. Relazione 2015 dell’EMCDDA

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U.E. - Droga in Europa. Relazione 2015 dell’EMCDDA

 Di seguito la prefazione della relazione:Siamo orgogliosi di presentare la 20a analisi annuale sulla situazione della droga in Europa, costituita dalla relazione europea sulla droga (EDR) 2015.
Quest’anno, la relazione “Tendenze e sviluppi” contiene una panoramica esaustiva del problema della tossicodipendenza in Europa e delle misure adottate per contrastarlo ed è al centro della serie di prodotti interconnessi comprendente il pacchetto EDR.

Basata su dati europei e nazionali, presenta indicazioni di alto livello su tendenze, risposte e politiche chiave, oltre ad analisi approfondite di temi d’attualità. Il pacchetto include analisi completamente nuove sugli interventi psicosociali, le strutture per il consumo di droghe, l’abuso di benzodiazepine e le rotte del traffico di eroina.

Tuttavia, il pacchetto informativo multimediale integrato che costituisce oggi l’EDR, appare in contrasto con la relazione annuale dell’EMCDDA sulla situazione della droga, pubblicata nel 1996. Vent’anni fa, l’istituzione di sistemi di sorveglianza armonizzati tra i quindici Stati membri dell’UE dev’essere parsa una sfida sconcertante per l’EMCDDA. Pertanto, il fatto che i primi meccanismi di monitoraggio istituiti nel 1995 siano attualmente divenuti un sistema europeo che comprende 30 paesi, riconosciuto a livello globale, rappresenta un risultato impressionante.
Oltre a ritenere che l’EMCDDA abbia offerto un prezioso contributo ai progressi compiuti, riconosciamo anche che il nostro lavoro dipende dalla stretta collaborazione con i nostri partner. Fondamentalmente, l’analisi europea qui presentata è possibile perché gli Stati membri hanno investito nello sviluppo di solidi sistemi nazionali d’informazione sulle droghe.

La presente relazione si basa su dati raccolti dalla rete Reitox dei Punti Focali azionali, che collabora strettamente con esperti nazionali. L’analisi si avvale inoltre della collaborazione costante dei nostri partner europei: la Commissione europea, l’Europol, l’Agenzia europea per i medicinali e il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie. Desideriamo inoltre riconoscere il contributo di numerosi gruppi di ricerca e iniziative europei, senza i quali la nostra relazione sarebbe stata di gran lunga meno ricca.
Negli ultimi 20 anni la nostra Relazione è cambiata al punto da divenire irriconoscibile, ma sono mutate anche la portata e la natura del problema europeo della droga. Quando l’agenzia è stata istituita, l’Europa si trovava nel mezzo di una “epidemia” di eroina e l’esigenza di ridurre la trasmissione dell’HIV e dei decessi causati dall’AIDS erano i principali fattori trainanti della politica in materia di droga. Oggi, sia il consumo di eroina sia i problemi legati all’HIV rimangono d’importanza centrale per la nostra attività di segnalazione, ma si inseriscono in un contesto più ottimistico in termini di sviluppi e, più informato in termini di risposte efficaci della sanità pubblica. Tuttavia, il problema ora è molto più complesso, come dimostra il fatto che molte delle sostanze trattate nella presente relazione fossero praticamente sconosciute in Europa quando l’agenzia è stata istituita.

Oggi, i mercati europei delle droghe continuano a cambiare e ad evolversi rapidamente: nel 2014, ad esempio, sono state individuate più di cento nuove sostanze psicoattive e sono state condotte valutazioni dei rischi su sei nuove droghe — entrambe queste cifre rappresentano dei record. Per mantenere il passo con questi cambiamenti e garantire che l’analisi svolta sia informata sui nuovi sviluppi, l’EMCDDA continua a collaborare strettamente con ricercatori e professionisti del settore. In qualità di agenzia, abbiamo sempre riconosciuto l’importanza di fornire informazioni valide, tempestive e pertinenti alle nostre politiche. Confermiamo l’impegno di perseguire quest’obiettivo e di garantire che, indipendentemente dal tipo di problema da affrontare in materia di droghe, le risposte dell’Europa saranno sostenute da un sistema d’informazione sempre produttivo, pertinente e adeguato allo scopo.

João Goulão
Presidente del Consiglio di Amministrazione dell’EMCDDA

Wolfgang Götz
Direttore dell’EMCDDA

Qui la relazione completa in lingua italiana

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“La relazione annuale dell’Agenzia europea sulle droghe conferma, per l’ennesima volta, che la proibizione legale non rappresenta un freno, ma un potentissimo incentivo alla diffusione delle droghe proibite. Il dato è particolarmente macroscopico nella sua irrazionalità se riferito alle sostanze più diffuse e meno pericolose, cioè i derivati della cannabis, che assorbono la gran parte delle risorse destinate all’attività repressiva (80% dei sequestri e 60% dei reati contestati)”. Lo dichiara il sottosegretario agli Esteri, promotore dell’intergruppo parlamentare per la legalizzazione della cannabis, Benedetto Della Vedova. “Oggi la proibizione assicura enormi e crescenti profitti alle narco-mafie e istituisce una sorta di monopolio criminale su un mercato di massa. È evidente che l’esempio dei numerosi stati americani, a partire dal Colorado, che hanno regolamentato legalmente il mercato della marijuana rappresenta oggi una concreta alternativa al fallimento dell’opzione repressiva. In Italia – prosegue il sottosegretario – a prenderne atto nell’ultima relazione annuale è stata la stessa Direzione nazionale antimafia”. “L’intergruppo parlamentare per la legalizzazione della cannabis, che si è costituito nel marzo scorso e oggi raggruppa oltre 120 tra deputati e senatori, entro un mese presenterà la propria proposta sul tema, integrando i contenuti dei numerosi disegni di legge già depositati in questa legislatura. I dati dell’Agenzia europea – conclude Della Vedova – costituiscono un ulteriore motivo di sprone per la nostra iniziativa”.

Fonte: droghe.aduc.it

 

Carcere: strutture fatiscenti e assistenza sanitaria di pessima qualità

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Strutture fatiscenti e assistenza sanitaria di pessima qualitàE’ allarme salute per i detenuti negli istituti penitenziari italiani: 2 su 3 sono malati, nel 48% dei casi per malattie infettive, il 32% ha disturbi psichiatrici. L’epatite colpisce 1 detenuto malato su 3, mentre sono in riduzione i sieropositivi per Hiv.

E’ la fotografia scattata dagli esperti Società italiana di Medicina e sanità penitenziaria (SIMSPe) per la tutela delle condizioni di salute dei detenuti italiani per il congresso nazionale che si aprirà mercoledì a Cagliari. Sono 199 gli istituti penitenziari aperti, con una capienza totale di 49.493, nonostante i detenuti presenti siano 53.498, per un sovraffollamento di 4.628, che equivale ad un +8,1%. I detenuti stranieri rappresentano il 32,6% del totale, pari a 17.430, mentre le donne sono 2.309, ossia il 4,3%.

 

Secondo l’indagine, che sarà presentata durante il congresso, almeno una patologia è presente nel 60-80% dei casi. Questo significa che almeno due persone su tre sono malate. Tra le malattie più frequenti, proprio quelle infettive, che interessano il 48% dei presenti. A seguire i disturbi psichiatrici (32%), le malattie osteoarticolari (17%), quelle cardiovascolari (16%), problemi metabolici (11%) e dermatologici (10%). Una situazione che, nonostante l’appello della SIMSPe si è fatta portavoce negli ultimi anni, non ha sortito l’effetto sperato. Gli ultimi dati sulle epatiti, infatti, hanno rilevato la presenza di un malato di questa patologia ogni tre persone residenti in carcere. Mentre sono in calo i sieropositivi per Hiv.

 

“Bisogna ricordare che il paziente detenuto di oggi, è il cittadino libero di domani – afferma Sergio Babudieri, presidente della SIMSPe – Tutte le informazioni di tipo scientifico ed epidemiologico, sia in Italia che all’estero, indicano sempre lo stesso punto, ossia che in carcere si concentrano persone che hanno comportamenti di vita che sono a rischio dell’acquisizione di una serie di malattie non solo infettive, ma anche di tipo metabolico, come ad esempio obesità, fumo, alcolismo; da ciò si evince evidentemente che il carcere è un ambito in cui la sanità pubblica può più facilmente intercettare persone che, una volta invece diluite nella popolazione generale, è più difficile incontrare, anche perché per il loro stile di vita spesso non hanno il bene salute nei primi posti della loro scala dei valori”.

 

La popolazione detenuta in Italia è cresciuta negli ultimi dieci anni dell’80% – ricordano i medici penitenziari – La maggior parte delle carceri ha dei tratti comuni: bagno e cucina nello stesso locale, cambio di lenzuola ogni 15 giorni, bagno alla turca o water separati gli uni dagli altri da un muretto alto appena un metro, strutture fatiscenti. Il personale è insufficiente, gli assistenti sociali sempre meno del necessario. L’assistenza sanitaria, come si può facilmente intuire da questo quadro, può risultare spesso di pessima qualità.

 

“Bisogna ricordare che il paziente detenuto di oggi, è il cittadino libero di domani – chiosa Babudieri – Tutte le informazioni di tipo scientifico ed epidemiologico, sia in Italia che all’estero, indicano sempre lo stesso punto, ossia che in carcere si concentrano persone che hanno comportamenti di vita che sono a rischio dell’acquisizione di una serie di malattie non solo infettive, ma anche di tipo metabolico, come ad esempio obesità, fumo, alcolismo; da ciò si evince evidentemente che il carcere è un ambito in cui la sanità pubblica può più facilmente intercettare persone che, una volta invece diluite nella popolazione generale, è più difficile incontrare, anche perché per il loro stile di vita spesso non hanno il bene salute nei primi posti della loro scala dei valori”.

 

Infine, secondo l’indagine della SIMSPe, che ha studiato i singoli casi dei detenuti che si sono sottoposti a test e controlli (circa il 56%), il tasso di trasmissione stimato dalle persone positive all’Hiv consapevoli si aggira tra l’1,7% e il 2,4%. Molto più alto, quasi 6 volte superiore, quello stimato dalle persone Hiv positive inconsapevoli, che raggiunge il 10%.

Fonte:  Focus.it (AdnKronos Salute)

 

Pronto primo centro ricerca ‘specializzato’ in cura Hiv

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anticorpiStarup Usa dedicata unicamente a debellare in modo definitivo virus

20 milioni di dollari per un investimento che potrebbe sembrare azzardato visti gli scarsi risultati sulla ricerca di un vaccino.

Però il fatto che stiano già vatutando la divisione dei  proventi dalle future scoperte,  fa sperare che abbiano già in mente qualcosa di interessante su cui ricercare … e naturalmente  guadagnare.
ndr poloinformativo

(ANSA) – ROMA, 11 MAG – Gsk e università del Nord Carolina uniranno le forze per creare un nuovo centro di ricerca e una start up dedicati esclusivamente alla ricerca di una cura definitva per l’Aids. Lo ha annunciato la stessa azienda, che investirà nel progetto 20 milioni di dollari per i prossimi 4 anni.

Al centro degli studi della struttura, che è aperta ad altri contributi pubblici e provati, ci sono le scoperte fatte in parte anche nell’università soprattutto nella strategia ‘shock and kill’, che consiste nello ‘smascherare’ anche quella piccola quantità di virus che rimane nascosto nelle persone sieropositive dopo la terapia, e di colpirlo ‘armando’ il sistema immunitario del paziente. L’università ha appena ricevuto dall’Fda il via libera per un test sull’uomo di una terapia basata su questo principio. ”L’Hiv Cure center – spiega il comunicato – sorgerà nel campus dell’università e avrà l’unico scopo di trovare una cura per l’Hiv/Aids. La nuova compagnia, Qura Therapeutics, si occuperò della parte commerciale della parnership, compresa proprietà intellettuale e commercializzazione delle scoperte”.

Fonte: https://www.ansa.it/

L’articolo Pronto primo centro ricerca ‘specializzato’ in cura Hiv è uno degli articoli di Poloinformativo HIV AIDS.

Un’altra tappa verso UNGASS 2016

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ungass 2016Perché è importante il Dibatto Tematico di alto livello dell’Assemblea Generale verso UNGASS 2016 del prossimo 7 maggio.

Il 7 maggio 2015, l’assemblea generale dell’Onu terrà un dibattito tematico di alto livello a supporto del processo di avvicinamento alla sessione speciale dell’assemblea generale sul problema mondiale della droga (UNGASS) fissata per l’aprile 2016. UNGASS 2016 sarà un momento critico per il dibattito internazionale sulle politiche sulle droghe e rappresenterà l’opportunità per una valutazione onesta sui successi e sui fallimenti della politica globale di controllo sulle droghe. C’è una forte necessità di questo tipo di dibattito, ed è per questo che nel 2012 il Presidente della Colombia, Guatemala e Messico hanno richiesto che UNGASS si tenesse nel 2016 (anzichè nel 2019 come originariamente pianficato).1 Il Segretario Generale dell’ONU ha sollecitato gli stati membri affinché impieghino l’opportunità di UNGASS per “affrontare un ampio e aperto dibattito che consideri tutte le opzioni possibili”.

L’esigenza fondamentale che il processo di UNGASS sia ampio e inclusivo è stata inoltre riaffermata dall’Assemblea Generale:
“Riafferma la propria decisione, come raccomandato dalla Commissione sulle Droghe (CND), che la sessione speciale dell’assemblea generale sul problema mondiale della droga del 2016 debba avere un processo di preparazione inclusivo che preveda estese consultazioni sostanziali, permettendo agli organi, enti e agenzie specializzate delle Nazioni Unite, alle più importanti organizzazioni nazionali ed internazionali, alla società civile e agli altri rilevanti portatori di interessi, di poter contribuire pienamente al processo, nel rispetto delle regole procedurali e delle pratiche stabilite”. (risoluzione 69/201 paragrafo 49, sottolineature aggiunte).

La preparazione per UNGASS è già stata avviata da molti mesi, guidata dalla Commissione sulle Droghe (CND), la cui sede è a Vienna, mediante assemblee recenti tenutesi a marzo durante il Segmento Speciale dedicato ad Ungass, durante la 58° sessione della CND.

Il dibattito di Alto Livello del 7 maggio, come richiesto dalla Risoluzione 69/2014 dell’assemblea Generale, rappresenterà la prima volta in cui la preparazione di UNGASS sarà discussa in maniera sostanziale a New York e per questo offre la possibilità di coinvolgere sia la l’intera ONU che le missioni diplomatiche dei vari paesi con sede a New York. Anche se è compito della CND guidare5 i preparativi per UNGASS, il fatto che questo dibattito si terrà sotto gli auspici dell’Assemblea Generale, come una “sessione speciale”, rappresenta l’eccezionale opportunità di dare l’importanza e l’urgenza necessarie alla discussione sul futuro del controllo internazionale sulle droghe.

Scarica il rapporto in Italiano (scarica la versione inglese) [Dal sito di IDCP]

Fonte: Fuoriluogo

L’articolo Un’altra tappa verso UNGASS 2016 è uno degli articoli di Poloinformativo HIV AIDS.

Un futuro senza stigma

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stigmaRiportiamo l’editoriale di Bruno Marchini da Anlaids ByMail di marzo che tratta l’ormai tristemente noto e inossidabile argomento STIGMA legato all’HIV.
Poche righe che riassumono quanto sia difficile sradicare un pregiudizio nonostante i comunicati e le campagne degli attivisti in ogni campo: discriminazioni sul lavoro, nella società, in sanità, nello sport, a scuola. Nella speranza di un futuro possibile, senza stigma.

Un futuro senza stigma anti-AIDS

Pochi giorni fa Anlaids è stata nelle piazze italiane con la campagna Un bonsai per Anlaids: un momento importante che si rinnova ogni anno e che quest’anno ha assunto una dimensione più contemporanea grazie ai testimonial di forte presa. I ricavi bonsai sostengono l’associazione nella lotta alla diffusione dell’Infezione da HIV e con essi contribuiamo al sogno di un futuro libero dall’AIDS. Perciò è doveroso ringraziare chi ci ha sostenuto e i volontari che hanno permesso l’iniziativa.

Un futuro senza l’AIDS significa anche un futuro dove il nome di questa malattia non sia più usato come termine di offesa: a Perugia “Terni=AIDS” e “Trans=AIDS” campeggiano nei graffiti su alcune pareti cittadine. Perché per offendere la squadra sportiva rivale o l’identità sessuale trans è utilizzato il termine AIDS? Perché per sfottere sportivamente o insultare, se proprio necessario, non utilizziamo altri termini presi nell’ambito della salute? Che ne so: Juve=Glaucoma o Milan=Diabete per essere particolarmente offensivi! O i carinissimi Etero=Psoriasi o Scandinavi=Vitiligine, per forzare gli esempi! Come mai non si utilizzano termini legati ad infezioni affini per fattore di rischio di trasmissione, per offendere l’altro, come Epatite C o B?

“I sieropositivi”. Anche questo termine che dovrebbe semplicemente indicare tutte le persone che sottoposte a test anticorpale risultano avere contratto l’HIV viene usato per ridurre alla sola infezione il valore umano complesso degli uomini e delle donne che con quella convivono. Lo stigma è ancora forte del retaggio legato per lo più ad alcuni comportamenti sessuali delle persone che, nella cultura cattolica più bigotta di alcuni dei protagonisti dei millenni oscurantisti, ma forse da molto tempo presente nelle tribù umane, sono stati a lungo condannati con pene insopportabili. Sperma e sangue rappresentano ancora un tabù linguistico, che evoca la vita ancestralmente caratterizzata dalla ciclicità. È questa dura immagine della Vita, il suo senso a termine ciclico che è stato drammaticamente vissuto da intere comunità già socialmente vulnerabili ad aver marcato negativamente l’AIDS e meno le altre MST.

Sarà un mondo futuro più sano e più libero quello in cui l’AIDS non sarà più considerato un termine usato per offendere. Questa ignoranza scurrile sarà istruita dei successi della cura e dell’eradicazione del virus. Ho certo fiducia nelle nuove generazioni perché potranno godere di buona affettività e felice sessualità senza paranoie fobiche e nel rispetto reciproco, “coperti” per difendersi dall’AIDS e dalle altre MST. E la passione e l’impegno di tutta Anlaids avranno contribuito, in modo determinante in Italia, alla normalizzazione dell’argomento.

Un caro abbraccio
Bruno Marchini

Fonte. Anlaids

L’articolo Un futuro senza stigma è uno degli articoli di Poloinformativo HIV AIDS.

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