Migranti e Aids, paura senza motivo

 

migrantiGiampiero Carosi: «Solo le persone sane affrontano viaggi faticosi. Chi si ammala di Hiv lo fa in Italia»
PAVIA. Il professor Giampiero Carosi oggi alle 18 al collegio Cairoli terrà la conferenza “Migrazione e Hiv. Impatto di due eventi epocali”, per il ciclo di conferenze “I giovedì del collegio Cairoli”. Durante l’incontro si discuterà delle caratteristiche dell’assistenza erogata ai migranti sieropositivi, competenza delle regioni anche in relazione alle politiche dell’immigrazione. Introduce e modera il professor Alberto Giannetti, presidente del’associazione degli alunni del Cairoli.

Professor Carosi, molta gente è convinta che i migranti “portano malattie” come l’Hiv o l’Aids.

«Non è vero. Una percentuale molto elevata di migranti contrae l’infezione qui da noi, non se la porta dal suo paese perché un soggetto malato non si mette in viaggio, e che viaggio: prima il deserto e poi il mare su delle carrette in condizioni disperate».

Qual è la differenza tra Hiv e Aids?

«Hiv è il virus dell’immunodeficienza umana, sigla dell’inglese Human immunodeficiency virus, è l’agente responsabile della sindrome da immunodeficienza acquisita, l’Aids. L’Hiv ha un lungo periodo di latenza, anche di 8-10 anni, senza che si manifestino i sintomi. L’Aids è la malattia conclamata».

Come si infetta il migrante?

«Vive in condizioni di disagio igienico, sociale, culturale, oppresso da malnutrizione, promiscuità e freddo, così contrae le infezioni come l’Hiv, l’epatite B o sviluppa infezioni latenti come la tubercolosi, che diventa malattia nelle condizioni di disagio. Ma non va disprezzato, 50 anni fa chi aveva la mia età aveva anche la tubercolosi latente, c’erano i dispensari apposta, il benessere ci ha permesso di sconfiggerla».

Esiste il rischio di trasmissione da migranti a italiani?

«Non c’è una commistione tra le patologie del migrante e le patologie del nativo perché sono comunità che non si mescolano. I migranti africani prendono l’Hiv dalle prostitute africane in Italia, che a loro volta lo hanno contratto da clienti italiani e lo diffondono ad altri neri e a nuovi clienti italiani. Hiv, epatite B e tubercolosi, restano confinati nell’ambito delle comunità di migranti. L’unico veicolo verso gli italiani possono essere le prostitute con i nuovi frequentatori, ma chi fa sesso senza protezione si condanna da sè. Un caso su cinque di Hiv è carico degli immigrati, nelle prostitute è ancora meno».

Qual’è la casistica dell’Hiv in Italia?

«Su cento casi di Hiv, 40 sono omosessuali, 30 eterosessuli, 10 tossicodipendenti, gli altri sono fattori non noti. Sono scesi molto i tossicodipendenti, che 30 anni fa rappresentavano addirittura fino l’80% dei casi».

Lei difende la nostra sanità pubblica.

«E’ una fra le migliori del mondo perché è basata sul principio universale e solidale: ognuno ha il diritto di essere curato in quanto persona, non solo come cittadino».

Un esempio pratico?

«I migliori farmaci e le migliori linee guida per la cura dell’Hiv vengono dagli Stati uniti, ma mentre noi nell’85-90 per cento dei pazienti riusciamo a sopprimere il virus nel sangue, negli Stati uniti, paese da cui provengono le cure, questo dato si ferma al 33 per cento».

Perché

«In Italia curiamo tutti, in America solo un terzo della popolazione, chi se lo può permettere pagando».

Che ricordo ha di Pavia e del collegio Cairoli?

«E’ un ricordo che uno si porta dietro per tutta la vita, quei sei anni li ho davanti agli occhi come fosse ieri. Me li ricordi tutti, i professori, i compagni, sarà certamente un’mozione. Sono arrivato a Pavia che avevo 18 anni, nel 59, venivo dalla Liguria, dal mare, e trovai neve, nebbia e freddo, degli spifferi… Ma è servito a dare una svolta alla mia vita, fino ad allora in mezzo alla bambagia, una sterzata di energia. Il collegio è molto importate per la vita universitaria, io chiedevo consiglio a quelli dell’anno prima sugli studi, gli esami, quali istituti frequentare. E Giannetti era il mio decano». (l. sar.)

Fonte: laprovinciapavese

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