Malattie del fegato e tossicodipendenze.

Notizia da Poloinformativo HIV AIDS

fegatoMalattie del fegato e tossicodipendenze. Di questo si parlerà al convegno “Il management del tossicodipendente con epatite B e C”, che si svolgerà il 28 febbraio con inizio alla ore 9:00 presso il T-Hotel Lamezia in Località Garrubbe, Superstrada 280, 88040 Feroleto Antico provincia di Catanzaro.
L’obiettivo principale dell’evento, organizzato dall’Ambulatorio d’infettivologia ed epatologia del Distretto del Lametino dell’Asp di Catanzaro, è di fornire agli operatori dei Ser.T. e alla classe medica un aggiornamento sulle strategie di gestione e management delle epatiti virali e dell’Hiv, anche alla luce dell’immissione in commercio di nuovi farmaci che aprono nuovi scenari terapeutici. Responsabile scientifico del convegno, rivolto a medici di gastroenterologia, malattie infettive, medicina interna, microbiologia e virologia, è Lorenzo Antonio Surace, infettivologo, responsabile dell’Ambulatorio di infettivologia ed epatologia del Distretto del Lametino.
“Parlando di epatite C e B, – spiega Surace – il tossicodipendente rappresenta la categoria di pazienti maggiormente interessata, poiché è ben noto che l’uso o l’assunzione di sostanze stupefacenti per via iniettiva rappresenta un importante fattore di rischio per il contagio di alcune infezioni da virus B, C e Hiv. Il rischio d’infezione è da imputare principalmente alla condivisione di aghi e siringhe, come pure di utensili per la preparazione della droga. Pertanto, la prevalenza di anticorpi contro l’Hbv, l’Hcv e l’Hiv, nei tossicodipendenti per via endovenosa, è molto più alta che nel resto della popolazione”.
“Dal momento che chi contrae il virus spesso non presenta sintomi per molti anni, e spesso tali sintomi sono lievi, – prosegue il medico – è importante che presso i Ser.T. venga promosso lo screening nei confronti dei soggetti che fanno uso di sostanze stupefacenti, ed è ancora più importante che l’approccio nei confronti dei pazienti affetti da malattie del fegato sia di tipo integrato, tra epatologo e medico dei Ser.T., al fine di individuare delle strategie efficaci che mirino ad ottimizzare i percorsi diagnostico-terapeutici spesso gravati da molte criticità”.
È per queste ragioni che, all’interno del convegno, è prevista una tavola rotonda, moderata da Ferruccio Bonino, ordinario di gastroenterologia presso l’Università di Pisa, che vedrà come protagonisti principali i direttori dei Ser.T. della Regione Calabria ai quali è affidato il compito, attraverso l’esposizione e l’analisi delle esperienze personali, di stilare un protocollo diagnostico-terapeutico che possa essere adottato in maniera uniforme in tutti Ser.T. e che consenta una gestione ottimale del tossicodipendente affetto da malattie epatiche.
Gli organi di informazione sono invitati a partecipare.

Fonte:cmnews.it

 

PrEP: con i farmaci preventivi le infezioni calano dell’86%

postato in: Senza categoria | 0

Notizia da Poloinformativo HIV AIDS

CROI 2015La notizia più entusiasmante proveniente da questa edizione del CROI riguarda la profilassi pre-esposizione (PrEP), ossia l’assunzione di antiretrovirali da parte di persone HIV-negative a scopi preventivi.

Due studi sulla PrEP condotti su uomini omosessuali e donne transessuali hanno dimostrato che, quando è possibile assumere la PrEP, il tasso di infezione da HIV diminuisce dell’86%. Si tratta dei più elevati livelli di efficacia mai registrati fino ad adesso, senza contare che sono superiori a quelli ottenuti con la maggior parte degli altri interventi di prevenzione. E il dato straordinario è che due studi indipendenti l’uno dall’altro – nei quali la PrEP è stata somministrata con modalità molto differenti tra loro – hanno riscontrato gli stessi identici livelli di efficacia.

Lo studio PROUD è stato condotto in Inghilterra, mentre lo studio IPERGAY in Francia e Canada. Per entrambi sono stati arruolati uomini che fanno sesso con uomini (MSM) e donne transessuali ad alto rischio HIV. I partecipanti infatti avevano multipli partner sessuali; utilizzavano il preservativo in modo incostante o irregolare; presentavano alti tassi di infezioni a trasmissione sessuale; molti avevano già avuto bisogno di ricorrere alla profilassi post-esposizione (PEP) in passato; e infine, facevano diffusamente uso di droghe. Generalmente si trattava di individui ben istruiti e con un’occupazione a tempo pieno.

Tutti e due erano stati concepiti come studi pilota che aprissero la strada a sperimentazioni più ampie in futuro. Il fatto che entrambi abbiano dimostrato livelli di efficacia tanto elevati e statisticamente significativi su poche centinaia di partecipanti non solo testimonia l’efficacia preventiva della PrEP, ma rivela anche quanto sia alto il tasso di infezione in determinati gruppi di maschi omosessuali nei paesi occidentali.

I due studi presentavano però anche rilevanti differenze.

Nello studio PROUD, quello britannico, i partecipanti dovevano assumere giornalmente un combinato a base di tenofovir ed emtricitabina (Truvada); per il gruppo di controllo era invece prevista non già l’assunzione di un placebo, ma un inizio differito (di un anno) dell’assunzione dello stesso combinato.

Lo studio IPERGAY, invece, si proponeva di testare – per la prima volta – la fattibilità della cosiddetta PrEP ‘intermittente’. Ai partecipanti è stato detto di assumere il farmaco solo prima e dopo l’effettivo rapporto sessuale: una dose nelle 24 ore precedenti il rapporto programmato e – se esso aveva effettivamente luogo – altre due dosi nei due giorni seguenti. È un approccio che senz’altro facilita l’aderenza terapeutica, senza contare che riduce i costi della terapia e limita gli effetti collaterali. Anche per questa sperimentazione è stato impiegato il Truvada; al gruppo di controllo è stato somministrato un placebo.

Lo studio PROUD ha registrato un tasso di nuove infezioni dell’1,3% all’anno nel gruppo che assumeva la PrEP, contro l’8,9% nel gruppo con inizio differito. Una differenza che, in termini percentuali, corrisponde a un’efficacia dell’86%.

Nello studio IPERGAY, invece, le nuove infezioni nel gruppo che riceveva la PrEP si sono fermate allo 0,9%, contro il 6,8% nel gruppo di controllo: anche qui, in termini percentuali la differenza è dell’86%.

Nei due studi, tra gli individui randomizzati per ricevere la PrEP, quelli che hanno contratto l’HIV sono complessivamente cinque. Si ritiene però che non abbiano effettivamente assunto i farmaci: quattro hanno smesso di presentarsi alle visite di controllo o restituivano i flaconi inutilizzati, mentre per quanto riguarda il quinto individuo, si pensa che abbia contratto il virus nel periodo precedente all’inizio dell’assunzione della PrEP.

Da entrambe le sperimentazioni sono emersi dati confortanti anche in termini di insorgenza di effetti collaterali e farmaco-resistenze nonché delle eventuali ripercussioni sul comportamento sessuale.

L’aderenza terapeutica è risultata più che buona in entrambi gli studi, malgrado le notevoli differenze nella somministrazione dei farmaci in termini di tempi e dosaggi. Lo studio PROUD mirava a riprodurre le condizioni reali di un paziente in Inghilterra, e ha dimostrato che i timori che l’aderenza sia scarsa sono da considerarsi infondati. IPERGAY invece mostra che gli MSM possono agevolmente assumere la PrEP in un modo compatibile con il loro stile di vita, massimizzando la propria sicurezza.

Resoconto completo sui risultati dello studio PROUD su aidsmap.com

FONTE: aidsmap.com

L’articolo PrEP: con i farmaci preventivi le infezioni calano dell’86% è uno degli articoli di Poloinformativo HIV AIDS.

Terapia triplice più efficace nel prevenire trasmissione da madre a figlio

postato in: Senza categoria | 0

Notizia da Poloinformativo HIV AIDS

.

Somministrando alle donne in gravidanza una terapia antiretrovirale basata su una combinazione di tre farmaci, così come raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), si ottengono tassi sensibilmente più bassi di trasmissione dell’HIV da madre a figlio: è quanto emerge da uno studio randomizzato condotto in sette diversi paesi. Lo studio, denominato PROMISE, si è svolto nell’Africa sub-sahariana ed in India.

Per lo studio sono state arruolate 3529 donne in stato di gravidanza, in stato di salute generalmente buono, che non sarebbero altrimenti state considerate eleggibili per ricevere la terapia nei rispettivi paesi. Le partecipanti presentavano una conta mediana dei CD4 di 530 cellule/mm3 ed erano alla 26° settimana mediana di gravidanza.

Un gruppo è stato randomizzato per ricevere quella che l’OMS definisce ‘opzione A’: zidovudina a partire dalla 14° settimana di gestazione più una singola dose di nevirapina al momento del parto. Per i 14 giorni successivi, alle pazienti è stata inoltre somministrata una terapia a base di tenofovir e emtricitabina per ridurre al minimo il rischio che sviluppassero una resistenza alla nevirapina.

Un altro gruppo di partecipanti è stato invece randomizzato per ricevere l’‘opzione B’, ossia una terapia triplice da assumere a partire dalla 14° settimana di gestazione fino a tutto il periodo dell’allattamento. Il regime era a base di inibitori della proteasi come lopinavir e ritonavir. A seconda della randomizzazione, come farmaci di backbone sono stati impiegati o lamivudina e zidovudina, o tenofovir e emtricitabina. (Quando lo studio era già stato avviato, l’OMS ha aggiornato le sue linee guida e raccomanda adesso un regime a base di efavirenz come opzione B).

Il tasso di trasmissione è risultato basso in entrambi i gruppi, ma con la terapia triplice calava ulteriormente, e in maniera sensibile: 0,6% contro 1,8%.

In termini di sicurezza, la somministrazione di terapia triplice è risultata associata a un rischio più elevato di eventi avversi di grado moderato oppure di esiti complicati, per esempio parti prematuri o bambini nati sottopeso. Non si sono invece rilevate differenze in termini di eventi di maggiore gravità.

Resoconto completo su aidsmap.com

FONTE: aidsmap.com

L’articolo Terapia triplice più efficace nel prevenire trasmissione da madre a figlio è uno degli articoli di Poloinformativo HIV AIDS.

In Puglia vaccino Hpv gratuito anche per i ragazzi

postato in: Senza categoria | 0

La Regione Puglia ha esteso anche l’offerta attiva e gratuita del vaccino anti-HPV anche agli adolescenti, nel corso del dodicesimo anno di vita.

A breve, tutti i ragazzi nati nell’anno 2003 saranno invitati dai Pediatri di libera scelta e in tutte le scuole dai Dipartimenti di Prevenzione della ASL.

Relazione al Parlamento sulle attività Aids anno 2013

postato in: Senza categoria | 0

aidsLa relazione, inviata al Parlamento il 2 febbraio 2015, illustra le attività svolte dal Ministero nell’ambito dell’informazione, prevenzione, assistenza e attuazione di progetti relativi all’ Hiv/Aids. La relazione riporta, inoltre, le attività svolte dalla Commissione nazionale per la lotta contro l’Aids e l’attività svolta dall’Istituto superiore di sanità, in particolare le iniziative in tema di sorveglianza dell’infezione da Hiv e dell’Aids, di ricerca e di consulenza telefonica (Telefono Verde AIDS e IST).

La relazione viene predisposta ogni anno, ai sensi dell’articolo 8, comma 3, della legge 5 giugno 1990, n.135. Gli argomenti contenuti sono raggruppati in due capitoli nei quali sono riportate, rispettivamente, le attività svolte dal Ministero della salute e quelle dellIstituto superiore di sanità.

Leggi la relazione al Parlamento.

Fonte: Ministero Della Salute

L’articolo Relazione al Parlamento sulle attività Aids anno 2013 sembra essere il primo su Poloinformativo HIV AIDS.

Nuovo trattamento per Encefalopatia Epatica

Notizia da Poloinformativo HIV AIDS

encefalopatia epaticaCOMUNICATO STAMPA

Ulteriore riconoscimento a livello europeo per rifaximina-a, molecola frutto della ricerca ‘made in Italy’ di Alfa Wassermann

VIA LIBERA DEL NICE A RIFAXIMINA 550 mg:

IL PRIMO NUOVO TRATTAMENTO PER L’ENCEFALOPATIA EPATICA DEGLI ULTIMI 30 ANNI

 

· Commercializzato dal 2010 negli Stati Uniti e approvato in Europa nel 2012, il farmaco sarà reso disponibile anche in Inghilterra e Galles.

· Atteso per i prossimi mesi l’arrivo in Italia.

Bologna, 23 febbraio 2015.
Via libera del National Institute for Health and Care Excellence (NICE)[1] a rifaximina-a 550 mg, trattamento innovativo per l’encefalopatia epatica (EE), una patologia neuropsichiatrica grave, associata alla malattia epatica, che incide pesantemente sulla qualità e l’aspettativa di vita dei pazienti. Ne soffrono circa 200.000 persone in Europa; in Italia si stima che ogni anno circa 9.000 pazienti vengano ospedalizzati a causa della malattia.

Questo trattamento innovativo, autorizzato per la riduzione della recidiva degli episodi di encefalopatia epatica manifesta nei pazienti a partire dai 18 anni, è prodotto da Alfa Wassermann e commercializzato nel Regno Unito da Norgine (nome commerciale TARGAXAN® 550 mg).

“Siamo molto lieti che sia stato riconosciuto l’autentico valore di rifaximina-a 550 mg, esempio dell’eccellenza della ricerca scientifica italiana”, ha dichiarato Pier Vincenzo Colli, Direttore Generale di Alfa Wassermann. “Questa è la conseguenza dell’importanza che questo farmaco riveste per i pazienti, i loro familiari e il sistema sanitario, come dimostrano i dati clinici di real world che sono stati presentati. È fondamentale poter disporre di ulteriori opzioni terapeutiche per l’encefalopatia epatica, poiché la malattia epatica è sempre più diffusa e attualmente non esiste alcuna cura per l’EE, a parte il trapianto di fegato”, ha concluso Colli.

“Accolgo con entusiasmo la decisione del NICE di approvare questo trattamento di vitale importanza che farà realmente la differenza per quanto riguarda la qualità della vita dei pazienti e delle loro famiglie”, ha affermato Antonio Gasbarrini, Professore Ordinario di Gastroenterologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Medicina Interna e Gastroenterologia del Policlinico Gemelli di Roma. “Le opzioni terapeutiche per i pazienti con encefalopatia epatica sono estremamente limitate – ha aggiunto Gasbarrini – e dal 1969, quando è stato introdotto il lattulosio, non è stato più reso disponibile alcun trattamento. Grazie a rifaximina è invece possibile prevenire con successo le ricadute, trattando i pazienti in modo da ristabilire l’equilibrio del microbiota intestinale. Il farmaco è inoltre ben tollerato, trattandosi di un antibiotico che non viene assorbito dall’organismo”.

[1] NICE, Final Appraisal Determination, ‘Rifaximin for preventing episodes of overt hepatic encephalopathy’, pubblicato il 19 febbraio 2014 e disponibile online all’indirizzo www.nice.org.uk.

***

Note per i redattori

L’encefalopatia epatica (EE)

Encefalopatia epatica è l’espressione utilizzata per descrivere una patologia neuropsichiatrica complessa e variabile, che colpisce i pazienti con malattia epatica acuta o cronica, più comunemente associata a cirrosi. I pazienti con EE possono sperimentare sintomi che variano da sottili anomalie neurologiche, clinicamente impercettibili, fino a una grave compromissione neurologica.

Rifaximina-a 550 mg compresse rivestite con film

Rifaximina-a 550 mg è indicato per la riduzione del rischio di recidiva degli episodi di encefalopatia epatica manifesta nei pazienti a partire dai 18 anni. Rifaximina-a 550 mg è un antibiotico ad ampio spettro, che ha come target i batteri commensali intestinali e agisce sugli aerobi e anaerobi Gram-negativi e Gram-positivi, riducendo l’ammoniaca in eccesso prodotta dai batteri intestinali dei pazienti con cirrosi.

Il farmaco è prodotto su licenza di Alfa Wassermann SpA. Norgine attualmente detiene i diritti di commercializzazione per XIFAXAN® 550 mg (noto come TARGAXAN® 550 mg nel Regno Unito e in alcuni altri mercati) in Australia , Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Lussemburgo, Nuova Zelanda, Norvegia, Paesi Bassi, Repubblica d’Irlanda, Svezia, Regno Unito e Svizzera. Il prodotto viene erogato a carico del Servizio Sanitario Nazionale in Scozia, Irlanda, Australia e Germania.

Alfa Wassermann

Alfa Wassermann è un gruppo farmaceutico privato con headquarter a Bologna ed uno stabilimento produttivo situato ad Alanno (PE). Nel 2014 le vendite nette di Alfa Wassermann – presso il quale sono impiegate oltre 1400 persone – hanno superato i 400 milioni di euro. Il gruppo conta inoltre su un numero crescente di società affiliate, sia in Europa sia nei mercati emergenti, come Russia, Cina e Messico. Il suo prodotto principale è rifaximina-a, un antibiotico intestinale selettivo che viene prescritto con i nomi commerciali di TIXTAR/TIXTELLER®, XIFAXAN® e altri, in 33 Paesi, inclusi gli Stati Uniti, dove Salix Pharmaceuticals è la licenziataria esclusiva. Alfa Wassermann ha sviluppato anche altri importanti prodotti: sulodexide (VESSEL®), un eparinoide per le malattie tromboemboliche, e parnaparina (FLUXUM®), un’eparina a basso peso molecolare per il trattamento e la profilassi della trombosi venosa profonda.

Per ulteriori informazioni, visitare il sito www.alfawassermann.it

ALFA WASSERMANN®, il logo ALFA WASSERMANN, XIFAXAN® e TARGAXAN® sono marchi registrati del gruppo societario Alfa Wassermann.

Norgine

Norgine è uno dei principali produttori indipendenti di specialità farmaceutiche in Europa: fondata oltre un secolo fa, è presente in tutti i principali mercati europei. Norgine è impegnata in modo particolare nello sviluppo e nella commercializzazione di prodotti farmaceutici che rispondono alle esigenze cliniche insoddisfatte in aree terapeutiche quali gastroenterologia, epatologia e terapie critiche e di supporto. Norgine possiede un sito dedicato alla produzione e allo sviluppo a Hengoed (Regno Unito) e un secondo sito produttivo a Dreux (Francia). Nel 2012 Norgine ha dato vita a un’attività complementare – Norgine Ventures – che sostiene aziende farmaceutiche innovative in Europa e negli Stati Uniti mediante sovvenzioni simili a debt-financing.

Per ulteriori informazioni, visitare il sito www.norgine.com

Norgine e il “logo della vela” sono marchi del gruppo societario Norgine.

Per ulteriori informazioni:
Angela Del Giudice – 392 6858392 – 02 20424936 – e-mail: a.delgiudice@vrelations.it

 

Quando le parole agiscono contro di noi: il linguaggio dello stigma.

no stigmaUn interessante articolo su come le parole influenzano la percezione dell’HIV in modo sbagliato accrescendo pregiudizi e discriminazioni.
Articolo di Candace Y.A. Montague
Da TheBody.com- Traduzione a cura di Poloinformativohiv

 

February 15, 2015
Quando una persona ha l’HIV, significa che c’è un virus all’interno del suo corpo. Tale diagnosi non significa che la persona è definita dal virus che ha dentro. Ma per molti anni, il linguaggio di HIV / AIDS ha – volontariamente o involontariamente – emarginato gruppi di persone che vivono con l’HIV, così come quelli delle comunità con alti tassi di infezione da HIV. È giunto il momento di riformulare il gergo su HIV / AIDS al fine di potenziare, piuttosto che alienare, ed educare la popolazione generale.
Il CDC Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie, definisce l’ HIV come “un virus diffuso attraverso i fluidi del corpo che colpisce le cellule specifiche del sistema immunitario, chiamate cellule CD4 o cellule T. Nel corso del tempo, l’HIV può distruggere molte di queste cellule così che il corpo non riesce più a combattere le infezioni e le malattie”.
Si continua a dire che l’infezione da HIV può causare l’AIDS. Ma spesso l’HIV e l’AIDS nella mente delle persone sono una singola condizione, così le persone che hanno contratto l’HIV sono percepiti come persone che hanno ricevuto una condanna definitiva a morte.
La terminologia può anche favorire lo stigma per errori di identificazione. Vickie Lynn, dottorando presso il Dipartimento di Sanità Pubblica dell’University of South Florida,in un seminario web del Positive Women’s Network, ha asserito che quando le persone si riferiscono a uomini e donne con HIV, è indispensabile rendere tali etichette secondarie. “Molte persone usano il linguaggio in modo non corretto, penso che questo confonda l’opinione pubblica. Viene messa prima la malattia della persona e non il contrario. Quindi, piuttosto che l’uso di etichette per definire una persona, abbiamo bisogno di usare termini che sono più appropriati. Invece di dire ‘HIV-infected people’ dovrebbero dire ‘le persone che vivono con l’HIV,’ “(il termine inglese HIV-infected people può essere paragonato al nostro ‘sieropositivo’ NdR).
Nel seminario, Lynn e la sua collega Valerie Wojciechowicz, oratore motivazionale e creatore di 4HIVhelp.com, hanno presentato i modi in cui le persone possono reindirizzare l’uso della lingua. Hanno sottolineato come il linguaggio modella il nostro mondo e come scegliere parole abilitanti invece di parole stigmatizzanti. “Il termine ‘AIDS conclamato’ non esiste. La malattia AIDS non ha anche un AIDS a metà. Ci sono alcune persone che utilizzano ancora questo termine, conclamato . Sono rimasto inorridito che giornali rispettabili utilizzano questo tipo di terminologia, “ha dichiarato Lynn. E aggiunge che quando le persone discutono di HIV / AIDS, dovrebbero astenersi da parole stigmatizzanti quali vittime, malato e contaminato. Consiglia anche di sostituire termini come “sesso a rischio” e “promiscuo”, con termini più precisi, come “sesso senza condom” o “senza PrEP” e “avere più partner sessuali.”

Messaggi Misti

I media possono avere un grande effetto su come trasformare il linguaggio stigmatizzante. Sebbene la maggior parte di annunci e campagne siano ben intenzionati, una formulazione imprecisa può involontariamente lavorare contro gli obiettivi desiderati. Frasi che suggeriscono che un partner trasmetta l’ AIDS ad un altro o che le donne dovrebbero insistere nella richiesta dell’uso del preservativo da parte degli uomini può contrastare la responsabilizzazione. l’ AIDS non è trasmissibile; solo il virus che lo causa lo è. La protezione può esserci sia dal partner maschile che da quello femminile in un rapporto. Stare in salute è responsabilità di tutti. Proiettare disinformazione è un altro modo di perpetuare lo stigma.

Inoltre, i messaggi contrastanti possono rafforzare la discriminazione. L’ HIV è stata descritta come una malattia cronica, che riduce l’allarme. Tuttavia, creando un’atmosfera più rilassata intorno a questa condizione – che rimane altamente stigmatizzata e richiede un monitoraggio e cure continue – può anche essere un modo per negare o limitare i servizi importanti necessari per le persone che vivono con l’HIV, come la sanità e gli alloggi.

E se l’HIV è una malattia cronica gestibile che non richiede maggiore attenzione, allora perché l’HIV è utilizzato come mezzo per criminalizzare persone in alcuni stati? Le persone che vivono con l’HIV sono letteralmente perseguiti per la loro saliva, che non trasmette il virus.

Chi è responsabile nel modificare il linguaggio?

I media, i professionisti medici e le istituzioni a sostegno della salute svolgono un ruolo nel cambiare il linguaggio. Ma il cambiamento può anche essere spinto dalle persone che vivono con l’HIV. Fare dichiarazioni auto-denigranti come “Sono malato” o “Ho il virus” possono alimentare la paura in coloro che vivono con l’HIV in situazioni d’abbandono.

Waheedah Shabazz-El, coordinatore organizzativo regionale di PWN-USA e ambasciatrice per Philadelphia FIGHT, vive con l’HIV da 12 anni. Dice che le persone con HIV hanno la possibilità di interrompere il ciclo del linguaggio improprio.
“Le persone che vivono con l’HIV sono le più adatte per creare questo manifesto. Siamo in una posizione migliore per dire al pubblico cosa deve rimanere e cosa no . Mi hanno sempre detto che non è come siamo chiamati, ma come rispondiamo. Si tratta prima di un lavoro interiore che poi diventa un lavoro proiettato al di fuori “.

Le persone che vivono con l’HIV possono agire per uso più efficiente e accurato del linguaggio facendo cambiamenti all’interno delle organizzazioni. Shabazz-El dice che la gente può iniziare a non accettare termini che ritraggono le persone che vivono con l’HIV in una luce negativa. “Abbiamo bisogno di essere coinvolti nel processo decisionale. Ho sentito la gente usa la parola” consumatori “per descriverci. Ma non è utilizzato nel modo in cui lo vediamo nel dizionario. E ‘usato per dire che consumiamo servizi per l’ AIDS. Noi non ci tiriamo indietro. Ho affrontato le organizzazioni e chiesto loro di cambiare la parola ‘consumatori’ nelle loro mission statements. Siamo persone che vive con l’HIV, non consumatori. ”
La disinformazione può essere il nemico della speranza quando le persone stanno cercando di fare il cambiamento, sia nella loro vita individuale o al livello del grande pubblico. Utilizzare un linguaggio impreciso per descrivere le persone che vivono con l’HIV è un modo sicuro per promuovere paura e discriminazione. I sostenitori sottolineano che ci vorrà uno sforzo coscienzioso da parte di tutti per ottenere il cambiamento – ma può essere fatto.

Candace Y.A. Montague is a native of Washington, D.C., and covers HIV news all around the District. She has covered fundraisers, motorcycle rides, town hall meetings, house balls, Capitol Hill press conferences, election campaigns, protests and an International AIDS Conference for The D.C. Examiner.com, emPower News Magazine, the Black AIDS Institute and TheBody.com. One of her two master’s degrees is in community health promotion and education. She is also an educator and a mother of two.

Fonte: The Body

Traduzione e adattamento a cura di Poloinformativohiv
In caso di utilizzo si prega di citare anche la fonte della traduzione

L’articolo Quando le parole agiscono contro di noi: il linguaggio dello stigma. sembra essere il primo su Poloinformativo HIV AIDS.

L’ Hiv non mi riguarda, ecco perchè non faccio il test

postato in: Senza categoria | 0

hiv inconsapevoliMa perché gli italiani fanno poco il test?
Il presidente di Lila Milano risponde alla domanda posta da Healthdesk nell’articolo del 16 febbraio

Secondo Massimo Oldrini, presidente della Fondazione Lila Milano, «per mille ragioni non è così comune effettuare questo tipo di test». Gioca un ruolo fondamentale la bassa percezione del rischio. O meglio, la convinzione che l’Hiv riguardi solo gli altri. Secondo una ricerca Gfk Eurisko, lo pensano 8 italiani su dieci. In altre parole, l’80% della popolazione è convinta di non correre alcun pericolo. E non perché sia difficile contrarre il virus, ma perché essenzialmente sarebbero a rischio tossicodipendenti, omosessuali e chi ha relazioni promiscue. Insomma, stigma sociale e disinformazione hanno ancora un peso rilevante. «Subiamo infatti ancora l’eco della cattiva comunicazione fatta negli anni iniziali dell’epidemia: quando si parlava di categorie a rischio, quindi di omosessuali e tossicodipendenti, e non si diceva che anche i rapporti eterosessuali espongono al rischio di contagio se non si usa il preservativo».

Ma un altro fattore deterrente è l’accesso al test. «In Italia – continua Oldrini – c’è una situazione a macchia di leopardo. Il test (lo sancisce la Legge n. 135 del 1990) dovrebbe essere anonimo, gratuito, e accompagnato da un colloquio con personale esperto, che sia di sostegno alla persona che si sottopone al test e veicoli informazioni sui comportamenti a rischio. Ma non ovunque è così. Inoltre se in alcune regioni i punti test si trovano in tutte le asl e in tutti i distretti, in altre invece bisogna percorrere 70 chilometri per poter eseguire il test».
Medici parlate di Aids

Da non sottovalutare, poi, secondo il presidente della Lila Milano, il ruolo dei medici di famiglia: «Raramente parlano con i propri assistiti di questioni legate alla sessualità e anche in caso di malattie fortemente correlate all’Hiv non suggeriscono ai pazienti di fare il test». E il peso della cecità politica: «In Italia non si può parlare di educazione sessuale nelle scuole, non si può promuovere l’uso del preservativo, e l’unica cosa fatta per sensibilizzare all’uso del test è riuscita male. Mi riferisco ai fondi (15 milioni di euro) stanziati per gli “Obiettivi di Piano Sanitario Nazionale 2012”, per finanziare una serie di progetti regionali relativi al test Hiv. Non tutto è andato come auspicato e, insieme a Cittadinanzattiva, la Lila ha denunciato le irregolarità nell’utilizzo regionale dei fondi».
Non si può sparare sul mucchio. L’importante è prevenire

«In ogni caso, in termini di salute pubblica, non è pensabile uno screening generale della popolazione: in media infatti su 100 persone che si sottopongono al test soltanto una risulta sieropositiva. Bisognerebbe invece favorire e semplificare l’accesso al test. A tal fine, in collaborazione con Asl Milano e Anlaids, il San Raffaele offre ogni mese, gratuitamente, il test rapido su saliva per l’individuazione di anticorpi specifici del virus Hiv. Entro pochi minuti dal prelievo del tampone, siamo in grado di fornire il risultato: se è negativo si può escludere con certezza il contatto con l’Hiv, in caso di positività, invece, si procede con l’esame standard su sangue per la conferma. Ma non è un modo per stanare il sommerso: riusciamo a eseguire soltanto intorno ai 2.000 test all’anno nella città di Milano».

«Non ci dimentichiamo però – conclude Oldrini – che il test, su sangue o su saliva, può accertare l’infezione già avvenuta. È cioè uno strumento diagnostico e non di prevenzione. Fare prevenzione significa investire in campagne di comunicazione, formazione e sensibilizzazione per tutelare la salute di tutti».

Fonte: Healthdesk

L’articolo L’ Hiv non mi riguarda, ecco perchè non faccio il test sembra essere il primo su Poloinformativo HIV AIDS.

Nuovo farmaco mostra alto livello di protezione: “Ottimisti, ma bisogna essere cauti”

postato in: Senza categoria | 0

Alcuni ricercatori del The Scripps Research Institute hanno elaborato un farmaco che promette di bloccare l’infezione delle cellule del sistema immunitario da parte dell’HIV, il virus alla base dell’AIDS. I ricercatori sostengono che grazie al nuovo metodo, che si “maschera” fingendosi i due recettori a cui si lega l’HIV, si potrebbe elaborare un vaccino, un farmaco che possa impedire l’infezione.

Pubblicata sulla rivista Nature, questa ricerca ha mostrato buoni risultati per cui gli scienziati, guidati dal Prof. Michael Farzan, professore per le malattie infettive presso lo Scripps Research Institute, sono generalmente ottimisti: “E’ efficace al 100%. Non ci sono dubbi che sia l’inibitore di ingresso di più larga portata che ci sia”. Gli fa eco Anthony Fauci, direttore presso il National Institute of Allergy and Infectious Diseases, che ha finanziato questo studio: “Questa innovativa ricerca pone le basi per un passo avanti verso due importanti obiettivi: raggiungere una protezione a lungo termine per l’infezione da HIV e porre l’HIV in fase di remissione nelle persone infette”.

Per testare questo farmaco sperimentale, gli scienziati hanno ricreato una proteina unendo insieme gli elementi dei due ricettori che si fondono con l’HIV e da cui si propaga poi l’infezione. Per assicurarsi che la proteina potesse essere realmente efficace, hanno somministrato alle quattro scimmie usate in laboratorio una dose del virus HIV quadruplicata rispetto a quella necessaria per infettare il gruppo di controllo. La proteina creata, chiamata eCD4-Ig, è riuscita a proteggere con successo le scimmie per 40 settimane.

Il nuovo approccio si basa sulla premessa che l’HIV “colpisca” una sola volta. Questa nuova proteina si mimetizza dai ricettori che vengono infettati dal virus; in questo modo, l’HIV infetta le cellule “finte” e l’infezione viene ingabbiata all’interno della proteina impedendo che si propaghi nel resto del sistema immunitario. Una soluzione che, seppur sia ancora sperimentale e quindi lontana dall’effettivo uso pratico, è stata ben accolta anche dai ricercatori non coinvolti nello studio, come Nancy Haigwood, ricercatrice dell’HIV presso l’Oregon Health and Science University: “E’ molto astuto e molto potente” si legge sulle pagine del The Wall Street Journal. E si spinge fino a dire che “sarà molto meglio di qualsiasi vaccino all’orizzonte”.

Ottimista sì, ma aspettiamo prima di lanciare falsi successi: “Diversamente dagli anticorpi, che non riescono a neutralizzare gran parte dei ceppi dell’HIV-1, la nostra proteina è stata efficace contro ogni ceppo testato aumentando le possibilità che possa offrire un’efficace alternativa come vaccino per l’HIV” sostiene Farzan, come riportato dall’Agenzia di Stampa Francese (AFP), che però sottolinea che “ovviamente, abbiamo bisogno di ulteriori studi di sicurezza sia sulle scimmie che sugli esseri umani”. Un conto è vedere le scimmie protette con successo e un altro è quello di confermarne la bontà sugli esseri umani. Invita alla cautela anche il Dott. Shaun Griffin, direttore degli Affari Esterni presso il Terrence Higgins Trust: “Si tratta un nuovo approccio esaltante, ma finché il vaccino non è stato provato sugli esseri umani, non c’è modo di sapere quanto possa essere efficace. Sebbene sia stato dimostrato che il vaccino è efficace sulle scimmie, l’HIV è un virus molto complesso, di cui stiamo ancora iniziando a conoscere le sue sfaccettature”.

La ricerca condotta dal Prof. Farzan si basa su uno studio del Prof. Philip Johson del 2009, che ha suggerito che si debbano sperimentare nuove modalità di cura e prevenzione dell’AIDS. Lo stesso Johnson, alla luce di questi risultati, ha commentato: “Sembra essere una molecole straordinariamente potente. Convalida ancora di più l’idea secondo cui dovremmo valutare metodi alternativi per colpire l’HIV. Per me, i risultati sui primati non-umani sono straordinari”.

FONTE: it.ibtimes.com

L’articolo Nuovo farmaco mostra alto livello di protezione: “Ottimisti, ma bisogna essere cauti” sembra essere il primo su Poloinformativo HIV AIDS.

1 2 3 4 5 6 7 15