La faccia dell’ HIV/AIDS: ieri e oggi

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Notizia da Poloinformativo HIV AIDS

La faccia dell' HIV/AIDS: ieri e oggiTyler Curry (Giornalista di HIV EQUAL ), ha creato un cortometraggio sulla differenza tra l’HIV di oggi e l’AIDS di ieri.
Ieri : “..la mia faccia non sarebbe più stata la mia faccia, ma il simbolo stesso della malattia..”

 

 

 

 

 

 

 

 

Oggi : ” …questa non è la mia faccia perchè sono nato nel 1983 e posso lavare via tutto, vivere la mia vita‬ perchè sono uno dei fortunati…”

 

Questo video è  dedicato da HIV Equal ai long-term survivors e a coloro che abbiamo perso nella lotta.
La consapevolezza mostrata da  Tyler ci ha fatto guardare indietro e ricordare tutti coloro che hanno combattuto duramente e hanno perso di fronte ad un virus tanto letale. La sua visione riporta per un attimo ad immagini che abbiamo già visto , alcuni dal vivo, altri solo nella finzione cinematografica , come la faccia di Tom Hanks in Philadelphia.

Ma questo video lascia fondamentalmente un senso di gratitudine per com’è la nostra vita ora finalmente proiettata verso il futuro . Un promemoria da riempire ogni giorno con gratitudine per le cure oggi disponibili e per la capacità di vivere una vita fino in fondo, quando tanti altri prima non hanno potuto farlo.

Ed è anche un modo per combattere lo stigma che ancora pervade la società
Solo una parola: ‪#‎live‬

 

HIV: un farmaco sperimentale per farlo morire di fame

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HIV: un farmaco sperimentale per farlo morire di fameScienziati americani hanno sperimentato in vitro un farmaco sperimentale che letteralmente affamerebbe a morte il virus dell’HIV. Una scoperta che potrebbe eliminare il problema delle mutazioni , che il virus sviluppa per difendersi dagli attacchi dei farmaci, perché interessa un meccanismo biochimico fisso.

 

L’Hiv si può far “morire di fame”
Articolo di Gianluca Casponi per galileonet

Il virus dell’Hiv potrebbe essere fermato “tagliandogli i viveri”. L’agente patogeno che causa l’Aids quando infetta una persona si insedia all’interno dei linfociti T Cd4, un sottogruppo di globuli bianchi. Al loro interno il virus avvia il proprio processo replicativo, richiamando una grande quantità di glucosio e altri nutrienti per fornire alla cellula l’energia necessaria a costruire le copie del virus. Proprio questa voracità potrebbe rappresentare un punto debole dell’agente patogeno, che i ricercatori potrebbero sfruttare per mettere a punto una terapia valida.

Il virus dell’Hiv è molto difficile da combattere in conseguenza della sua spiccata capacità di mutare sfuggendo a molte delle terapie sperimentate finora. Il nuovo approccio arriva ora dalla Northwestern e dalla Vanderbilt University, entrambe statunitensi, come raccontano su Plos Pathogens. Gli scienziati hanno scoperto che è possibile intervenire nel percorso biochimico che si attiva all’interno dei linfociti, disattivando l’aumento di richiesta di nutrienti da parte dei linfociti. Il virus, sostanzialmente, viene ucciso lasciandolo morire di fame. Questa forma terapeutica potrebbe rivelarsi decisiva perché interessa un meccanismo biochimico fisso, che rimane uguale a se stesso, qualunque sia il ceppo di Hiv che si vuole combattere.

I ricercatori americani hanno capito che il primo passo che avvia l’entrata dei nutrienti all’interno delle cellula, comporta l’attivazione di una sostanza nota come fosfolipasi D1 (PlD1) che è coinvolta nei meccanismi di trasporto transmembrana dei linfociti. Secondo quanto affermato dagli autori dello studio, si tratta del primo tentativo in assoluto di questo tipo.

I test, che per il momento sono stati condotti con successo in vitro, hanno utilizzato un farmaco sperimentale che inceppa il meccanismo d’azione di PlD1. “La sostanza che abbiamo messo alla prova – spiega Harry Taylor, docente presso la facoltà di medicina della Northwester e componente del team di ricercatori – potrebbe entrare a far parte di un nuovo cocktail di farmaci che migliorino l’efficacia dei trattamenti che abbiamo oggi a disposizione. Bloccare la replicazione del virus costituirebbe una vittoria essenziale, dal momento che gli altri aspetti della biologia dell’Hiv vanno incontro a continui mutamenti, schivando gli attacchi dei farmaci”.

Riferimenti: Plos Biology DOI: 10.1371/journal.ppat.1004864

Fonte:Galileonet

 

ICAR: le persone coinfette HIV/HCV a rischio vita

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coinfetteLe Associazioni chiedono audizione all’ AIFA.
“Abbiamo oggi un’ulteriore conferma dell’urgenza di curare coloro che hanno una doppia infezione da Hiv e Epatite C e chiediamo subito un tavolo con Aifa e le case farmaceutiche”: lo affermano i presidenti delle associazioni Lila, Nadir e Plus commentando i dati presentati alla Conferenza Italiana su AIDS e Retrovirus secondo cui 376 persone coinfette delle 8000 che in Italia hanno una grave coinfezione Hiv e Epatite C moriranno nei prossimi 5 anni se non trattati con i nuovi farmaci.

“Chiediamo subito all’Aifa l’attivazione di un tavolo con le associazioni dei pazienti e le case farmaceutiche per rivedere i criteri di inclusione delle persone con Hiv/Hcv ma anche per ragionare su possibili riduzioni dei costi della terapia a fronte alla grande necessità”: lo affermano i presidenti di Lila, Nadir e Plus, Massimo Oldrini, Filippo Schloesser, Sandro Mattioli a ICAR (Italian Conference on AIDS and Retroviruses) dopo la presentazione di Massimo Puoti, Direttore del reparto di malattie infettive all’ospedale Niguarda Ca’ Granda di Milano, che ha quantificato le morti che avverranno nei prossimi cinque anni se l’Aifa continuerà a escludere i coinfetti Hiv/Hcv dall’accesso prioritario alle cure.

Nella lettura sul trattamento dell’Epatite C nelle persone con Hiv, Puoti ha affermato che sui 30mila coinfetti Hiv/Hcv, sono 8000 coloro che, nonostante la malattia di fegato moderata (fibrosi F2 Metavir) progrediranno verso la cirrosi e il cancro del fegato. Se queste persone verranno curate potranno essere risparmiate 376 morti e 500 gravi malattie del fegato. Secondo l’infettivologo del Niguarda ciò avverrà perché le persone con coinfezione, anche se hanno una fibrosi moderata ha una progressione verso la cirrosi molto più rapida delle persone mono infette con Epatite C.

Per informazioni e contatti:

LILA Onlus: Ludovica Jona, Ufficio stampa – l.jona@lila.it – 348 0183527 – www.lila.it
Nadir Onlus: redazione@nadironlus.org – www.nadironlus.org
Plus Onlus: www.plus-onlus.it

Fonte: Newsletter Nadir Onlus

 

Tavola rotonda sulla PrEP a ICAR

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prepGli esperti presenti a ICAR oggi si confrontano sulla PrEP (profilassi pre-esposizione). Numerosi gli studi a riguardo e contrastanti i pareri delle varie personalità presenti. Ci sono le speranze e le attese di chi la considera un ottimo strumento di prevenzione contro l’infezione da HIV, ci sono i dubbi di chi ritiene siano altre le priorità nella lotta all’HIV e ci sono i timori che la PrEP faccia dimenticare l’uso del preservativo che è il solo strumento efficace contro le altre Malattie Sessualmente Trasmissibili (MST).

“PrEP: is it the right time to act ?” è il titolo della Tavola Rotonda che ospita alcuni ricercatori che hanno condotto gli ultimi studi clinici come Sheena Mc Cormick (UK) per lo studio PROUD e Eric Cua (F) per lo studio IPERGAY, insieme a Roy M.Gulick, infettivologo americano con anni di esperienza in questo ambito, e a Sabrina Spinoza Guzman, dell’ EMA (Agenzia europea dei medicinali), insieme alle Associazioni di persone con HIV e alla comunità scientifica infettivologica.

“I dati ottenuti dagli studi PROUD e IPERGAY – spiegano i presidenti del Congresso Cristina Mussini, Laura Sighinolfi e Andrea Cossarizza – entrambi rivolti a MSM (uomini che fanno sesso con uomini) e donne transgender, sono sicuramente importanti, ma il fatto che entrambi abbiano dimostrato livelli di efficacia tanto elevati statisticamente testimonia l’efficacia preventiva della PrEP, e rivela anche quanto sia alto il tasso di infezione in determinati gruppi nei paesi occidentali. Solo a loro, quindi, insieme alle coppie sierodiscordanti, dovrebbe essere offerta la PrEP e non a tutti, come invece chiede la maggior parte di chi la sostiene”.

A livello europeo, il primo paese a richiederla è stata la Francia, dove è attesa per questa estate l’autorizzazione “sub judice” (per i prossimi 2 anni la PrEP sarà disponibile gratuitamente). Per quanto riguarda la posizione italiana, un centinaio di infettivologi hanno risposto ad un questionario, promosso dall’IRCCS AOU San Martino di Genova, che viene presentato durante i lavori a Riccione: il 48% dei partecipanti ritiene non vi siano ragioni sufficienti per rendere disponibile la PrEP anche in Italia, ma il 35% la sostiene comunque. Il 71% degli intervistati teme lo spostamento di attenzione da altri interventi preventivi più utili, il 16% teme il rischio di una eccessiva medicalizzazione della prevenzione di HIV. Del campione, solo il 33% ha “familiarità” con la PrEP e il 63% ha ricevuto domande, soprattutto (86%) da coppie sierodiscordanti.

La disponibilità, comunque, della PrEP non modificherebbe il tipo di vita sessuale per il 64% del campione, anche se è diminuita la percentuale di chi userebbe sempre il preservativo (dal 37% al 27%) e, viceversa, è aumentata quella di chi non lo userebbe mai (dall’11% al 17%).

“In Italia non riusciamo a far diminuire il numero di nuove diagnosi di infezione da HIV registrate ogni anno – dichiara Giulio Maria Corbelli, membro dell’Associazione Plus – È evidente che, se vogliamo davvero fermare la diffusione dell’HIV in Italia, dobbiamo adottare una strategia innovativa: quello che si dimostra più efficace è un approccio “di combinazione”, cioè che metta a disposizione diversi strumenti e diffonda una informazione capillare in modo che ciascuno possa scegliere la strategia più adatta alle proprie esigenze. In questo approccio la PrEP – cioè la possibilità per persone sieronegative ad alto rischio di contrarre l’infezione da HIV di assumere un farmaco per evitare di contrarre l’infezione – può avere un ruolo essenziale perché consente, ad esempio, di prevenire l’infezione in persone che nonostante siano bene informate non riescono o non vogliono usare costantemente il preservativo con diversi partner sessuali”.

“Allo stato attuale siamo contrari alla PrEP – dichiara Margherita Errico, Presidente di NPS Italia Onlus – Non troviamo giusto l’approccio culturale di medicalizzare il sesso, ma ci rendono molto perplessi anche gli alti problemi di costi, di cui ancora non è chiaro su chi dovrebbero ricadere. In più manca completezza dei dati fondamentali, quelli italiani ed europei, perché quelli americani non bastano, e questo gap di dati sulla tollerabilità non va trascurato. Non si hanno neanche dati sufficienti sul livello di penetrabilità della PrEP a livello degli organi genitali. E non abbiamo neanche dati certi sul rischio di aumentato sviluppo di resistenze ai trattamenti antiretrovirali. Infine, allo stato attuale, gli studi sottolineano e confermano come nel lungo termine i pazienti con Hiv riscontrino problemi sia con i reni che con le ossa.

“Se il preservativo è efficace nel 99%, quella della PrEP è variato dall’iniziale 92% del 2011 all’86% delle ultime rilevazioni – prosegue Margherita Errico – Questo margine scoraggia chi si approccia a questa terapia, a nostro avviso. Un dato importante e preoccupante, per cui sentiamo fervida la responsabilità di chiedere al Sistema Sanitario di non intervenire a favore della stessa terapia. A farci preoccupare un dato che molti sembrano trascurare: molti di questi pazienti americani non stanno usando il preservativo, così le ultime dichiarazioni dagli studi presentati a Seattle lo scorso marzo, quindi non c’è copertura rispetto ad epatite, sifilide e altre malattie infettive che sono a loro volta terreno fertile per l’acquisizione comunque dell’infezione da Hiv. Cosa non da poco, per esempio, se si pensa che la sifilide, secondo dati CDC,è stata rintracciata nel 48% dei casi tra gli omosessuali.”

Interviste: Meteoweb

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Osteoporosi e HIV – Strategie di trattamento

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osteoporosiSecondo uno studio pubblicato online sulla rivista HIV Medicine, organo ufficiale della British HIV Association, il trattamento standard con una dose singola di zoledronato in 2 anni sembrerebbe essere efficace sulla densità minerale ossea dei pazienti con HIV affetti da osteoporosi almeno quanto il trattamento con 2 dosi di farmaco nello stesso arco temporale.

 

 
Come è stato ampiamente documentato in una review di recente pubblicazione (2), in molti pazienti affetti da HIV è stata documentata una riduzione dei livelli di massa ossea. Si ritiene che, all’aumento del rischio di osteopenia/OP contribuiscano, oltre a fattori di rischio tradizionali quali il fumo, l’impiego di alcool, l’ipovitaminosi D, l’ipogonadismo, la sedentarietà e un basso peso corporeo, anche il virus HIV stesso, alterando i processi di osteoblastogenesi e osteoclastogenesi o con la stimolazione della sintesi di citochine pro-infiammatorie che potrebbero promuovere i processi di riassorbimento osseo.

I bifosfonati (BSF) costituiscono una classe di molecole uniche dal punto di vista farmacologico, essendo in grado di legarsi inizialmente alla massa minerale ossea per poi essere fagocitati all’interno degli osteoclasti nel corso del processo di riassorbimento osseo ed inibire l’attività di queste cellule mediante il blocco di un enzima chiave della via metabolica del mevalonato, la farnesil pirosfosfato sintetasi. Tra i BSF disponibili zoledronato rappresenta la molecola della classe con la maggior potenza di inibizione dell’enzima sopra menzionato ed un’elevata affinità per l’idrossiapatite, fattore, quest’ultimo, predittivo di una prolungata durata d’azione del farmaco.

Obiettivo dello studio è stato quello di valutare efficacia e sicurezza di due regimi di somministrazione di zoledronato, mettendo a confronto tre gruppi di pazienti: quelli sottoposti a trattamento annuale, quelli sottoposti a doppia somministrazione in 2 anni e quelli non sottoposti a trattamento con il BSF (gruppo di controllo).

A tal scopo, 31 pazienti positivi al virus HIV e con bassi livelli di densità minerale ossea sono stati randomizzati, secondo uno schema 2:1, al trattamento con terapia anti-retrovirale e zoledronato (5 mg endovena; 21 pazienti) o con placebo (10 pazienti). Il gruppo in trattamento attivo prevedeva anche l’osservanza di alcuni consigli dietetici. Dopo 48 settimane dal trattamento, i pazienti randomizzati a zoledronato sono stati nuovamente randomizzati, questa volta secondo uno schema di randomizzazione 1:1, al trattamento con una seconda dose del BSF o a continuare l’osservanza di alcuni consigli dietetici.

Gli outcome considerati sono stati rappresentati dalla variazioni di DMO a livello della colonna lombare e dell’anca e da quelle dei marker di turnover osseo.

I risultati hanno documentato che la variazione percentuale mediana della DMO della colonna lombare, misurata dall’inizio dello studio alla 96esima settimana, è stata pari a -1,74%, 7,9% e 5,22% rispettivamente nel gruppo di controllo, in quello sottoposto a monosomministrazione standard di zoledronato e nel gruppo sottoposto a 2 iniezioni di BSF. La significatività statistica del miglioramento ottenuto con il trattamento con zoledronato è stata documentata sia tra il gruppo di controllo e i 2 regimi di somministrazione del farmaco che tra il gruppo di controllo e la dose singola di farmaco, ma non tra i 2 regimi di somministrazione del farmaco, ad indicare la sovrapponibilità dei 2 regimi in termini di outcome.

Lo stesso trend è stato documentato per le variazioni percentuali mediane della DMO a livello dell’anca e per la significatività statistica dei confronti tra gruppi. A 96 settimane, inoltre, lo studio non ha rilevato differenze tra i 2 gruppi in trattamento con BSF per quanto riguarda i livelli dei marker di metabolismo osseo.

Presi nel complesso, i risultati dello studio depongono a favore di una sostanziale equivalenza, in termini di efficacia, dei due regimi alternativi di somministrazione di zoledronato in pazienti affetti da HIV con bassi livelli di DMO, anche se le ridotte dimensioni numeriche del campione non sono sufficienti per escludere la possibilità di esistenza di differenze.
Sono necessari, perciò, nuovi studi, opportunamente dimensionati, in grado di confermare quanto fin qui osservato.

Referenze

1. Negredo E et al. Comparison of two different strategies of treatment with zoledronate in HIV-infected patients with low bone mineral density: single dose versus two doses in 2 years. HIV Med. 2015 May 6. doi: 10.1111/hiv.12260.

2. Pinzone MR et al. s There Enough Evidence to Use Bisphosphonates in HIV-Infected Patients? A Systematic Review and Meta-analysis

Canale informativo: Pharmastar

 

I nuovi NNRTI funzionano anche con aderenza non ottimale

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AderenzaAlcuni nuovi regimi di trattamento contro l’HIV consentono di raggiungere la soppressione virale anche con tassi di aderenza dell’ 85%, secondo i ricercatori dello studio US Veteran Aging Cohort Study pubblicato nell’ edizione on line del Journal of Acquired Immune Deficiency Syndromes.

 

 

Gli autori hanno monitorato le tendenze di aderenza e soppressione della carica virale tra il 2001 e il 2010. Sia aderenza che tassi di soppressione virale risultano migliorate nel corso degli anni. Inoltre, un aumento significativo del tasso di soppressione virale è stata osservato tra i pazienti che assumevano una terapia basata su un inibitore non nucleosidico della trascrittasi inversa (NNRTI) anche senza una perfetta aderenza.

“I nostri dati suggeriscono che i livelli di aderenza inferiore al 95% possono essere sufficienti per la soppressione virale con le nuove formulazioni NNRTI “, hanno affermato gli autori. “un 85-89% di adesione a regimi basati su NNRTI può essere sufficiente per la soppressione virale.”

L’obiettivo della terapia HIV è ottenere una carica virale non rilevabile. La percentuale di pazienti che hanno raggiunto la soppressione virale (definita in questo studio, come carica virale inferiore a 400 copie / ml) è aumentata notevolmente negli ultimi anni. Ciò è dovuto in parte al miglioramento dei farmaci antiretrovirali: quelli moderni hanno un buon profilo di sicurezza e la maggior parte ha un dosaggio semplice con combinazioni disponibili ed efficaci in una sola pillola giornaliera.
Ma non è chiaro se le combinazioni moderne richiedono un elevato livello di aderenza.

Per rispondere a questa domanda, i ricercatori hanno monitorato i tassi di aderenza e di soppressione virale tra 22.000 veterani con HIV nel corso di dieci anni. Gli autori hanno voluto vedere se il livello di aderenza necessario per raggiungere una carica virale non rilevabile differiva tra i regimi basati su NNRTI, inibitori della proteasi e nuove molecole come gli inibitori dell’integrasi. L’aderenza è stata valutata in base alle richieste di fornitura farmaci.I ricercatori hanno riconosciuto che questo non è metodo perfetto per valutare l’assunzione della pillola, ma credono che sia più affidabile del richiamo diretto al paziente.

La proporzione dei pazienti che assumono un regime complesso multi-farmaco, inibitore della proteasi o regimi a base di NNRTI è diminuito durante il follow-up rispettivamente dal 65% al 43%, e dal 33% al 16%.

Nel 2006 solo l’1% dei pazienti stava assumendo una sola pillola a base di NNRTI (emtricitabina / tenofovir / efavirenz), salendo al 29% entro il 2010. La terapia contenente un inibitore dell’integrasi è stata utilizzata da 11% dei pazienti nel 2010.

La proporzione di pazienti con aderenza del 95% o superiore è aumentata dal 37% del 2001 al 42% nel 2010. Gli autori hanno descritto questo aumento come “marginale”.

I pazienti che assumono i regimi basati su NNRTI avevano più probabilità di adesione quasi perfetta rispetto agli individui che prendono combinazioni contenenti un inibitore della proteasi. I pazienti con terapia in singola pillola avevano una migliore aderenza rispetto ai pazienti che assumono più pillole.

Le analisi dei pazienti con aderenza inferiore al 95% ha mostrato una percentuale di soppressione virale aumentata dal 38% nel 2001 al 94% nel 2010. Un aumento dei tassi di soppressione virale è stata osservata anche tra i pazienti con aderenza a partire da 70% -75%.

La percentuale di pazienti con soppressione virale sostenuta è passata dal 78% nel 2001 al 92% nel 2010.

Nel complesso, le possibilità di raggiungere soppressione virale erano le stesse per i pazienti con aderenza del 90% -94% e quelli con adesione superiore al 95%.
Confrontando i pazienti in base al tipo di regime, a tutti i livelli di aderenza, i tassi di soppressione virale erano più alti tra gli individui in terapia NNRTI.

Per i pazienti in terapia con un inibitore della proteasi, l’adesione superiore al 95% è stata associata con i più alti tassi di soppressione virale, mentre risultati inferiori sono stati osservati anche quando i pazienti stavano assumendo tra il 90% -94% delle loro dosi.

Per i pazienti in terapia a base di NNRTI, un livello di adesione del 85% è stato associato con altrettanto elevata la possibilità di raggiungere una carica virale non rilevabile come con un tasso di adesione pari o superiore al 95%.

“Questi risultati sull’aderenza non dovrebbero lasciare dubbi relativi alle barriere che ancora ostacolano la prescrizione di nuovi regimi HAART nelle fasi iniziali della malattia”, suggeriscono gli autori. “Gli sforzi devono essere fatti per massimizzare la prescrizione e l’uso di regimi single pill. In futuro ci si dovrebbe concentrare sull’uso di altri regimi a pillola singola già approvati e sui nuovi farmaci già inseriti come regimi terapeutici raccomandati negli orientamenti più recenti, facilitando il loro impiego in popolazioni con problemi di accesso e di mantenimento in cura “.

Reference

Viswanathan S et al. Adherence and HIV RNA suppression in current era of highly active antiretroviral therapy (HAART). J Acquired Immune Defic Syndr, online edition. DOI: 10/1097/QAI.0000000000000643, 2015.

Fonte: Aidsmap

Traduzione e adattamento a cura di Poloinformativo HIV
In caso di utilizzo si prega di citare anche la fonte della traduzione

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Invecchiamento con HIV e degenerazione maculare

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invecchiamentoUn nuovo studio conferma quanto già alcune ricerche avevano previsto in relazione al maggior rischio, nell’ invecchiamento delle  persone con HIV/AIDS,  di sviluppare degerazione maculare senile (DMS; in inglese AMD, Age-related Macular Degeneration) anche in età inferiore rispetto alle persone senza HIV.

 

 

 

 

“Nei pazienti con HIV e AIDS che vivono più a lungo rispetto al passato, è aumentato il rischio di sviluppare diverse malattie legate all’età più precocemente rispetto alle persone non infette da HIV, tra cui le malattie cardiovascolari e il diabete”, ha detto Douglas A. Jabs, MD, MBA , Professore Ordinario di Oftalmologia e Medicina presso la Facoltà di Medicina di Icahn Monte Sinai, autore principale del nuovo studio. “Questo aumento del rischio per malattie legate all’età, in generale, ci ha portato ad analizzare come questi pazienti sono influenzati da una delle malattie oculari più comuni legate all’età, cioè la degenerazione maculare senile “.

L’degenerazione maculare senile  è la principale causa di menomazione visiva e cecità nelle persone sopra i 65 anni ed è il risultato di un danno alla zona centrale della retina, chiamata macula, che è la responsabile della buona visione centrale. La degenerazione maculare senile è descritta in più fasi – inizio, fase intermedia e avanzata – con perdita della vista che si verifica nell’ultima fase per atrofia o presenza di anormali nuovi vasi sanguigni. Le persone non infette da HIV allo stadio intermedio AMD sono a rischio di progressione verso la fase avanzata della degenazione maculare, ma in genere non perdono la vista.

Per determinare come l’AIDS può contribuire alla AMD, il dottor Jabs e colleghi hanno arruolato 1.825 pazienti con età 13-73 anni con AIDS negli Stati Uniti tra il 1998 e il 2011. I ricercatori hanno classificato fotografie della retina per AMD e messo i partecipanti a confronto nella coorte LSOCA con i dati pubblicati su una popolazione di pari età senza HIV dal Beaver Dam Offspring Study, che ha anche classificato fotografie della retina per le funzionalità AMD. I risultati hanno mostrato che la prevalenza di stadio intermedio AMD nei pazienti affetti da AIDS è stato quasi del 10 per cento e, se si tiene conto di eventuali differenze di età, è stato di circa quattro volte superiore a quella in Beaver Dam Studio.
I ricercatori hanno stabilito che la maggiore prevalenza di AMD nella coorte LSOCA non era collegata ad alcun farmaco o classe di farmaci utilizzati per il trattamento dell’infezione da HIV. Piuttosto hanno sottolineato che la terapia con antiretrovirali anche se ripristina il sistema immunitario non lo riporta alla completa normalità; ci sono cambiamenti immunologici simili a quelli osservati in pazienti che non hanno l’HIV ma che sono molto più vecchi, circa 70 anni di età, ed è un fenomeno definito “immunosenescenza.”

“Anche se il meccanismo di base che porta a questo aumento di diagnosi di degerazione maculare senile nelle persone con HIV non è ancora noto, esso può riguardare lo stato di attivazione immunitaria cronica e infiammazione sistemica presenti in questi pazienti”, ha detto il dottor Jabs.

Il Dr. Jabs e colleghi fanno notare che ulteriori esplorazioni di questi risultati può fornire la possibilità di capire meglio il ruolo della immunosenescenza e dell’infiammazione sistemica nello sviluppo di AMD, che a sua volta potrebbe portare a nuove terapie. I risultati suggeriscono che la terapia antiretrovirale e l’immunoricostituzione nelle le persone con infezione da HIV può causare un accelerato e accentuato invecchiamento.

Fonte:Healthcanal

Traduzione e adattamento a cura di Poloinformativohiv- in caso di utilizzo si prega di citare la fonte della traduzione

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Il giornale HIV positivo

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hivLa nuova campagna Saatchi & Saatchi Switzerland per Vangardist Magazine, testata maschile bilingue tedesco/inglese, vuole dare un colpo a stigma e pregiudizi e far ‘notizia’ sull’HIV: 3000 copie del numero primaverile sono stampate con un mix di inchiostro e sangue HIV +

 

 

28 aprile 2015- Vangardist stampato con sangue HIV-positivo: Saatchi & Saatchi Switzerland contro l’Aids
Con la nuova campagna firmata da Saatchi & Saatchi Switzerland, la rivista Vangardist, una testata maschile bilingue tedesco/inglese, invita i suoi lettori ad adottare un approccio pragmatico nei confronti dell’Aids, liberandolo dal pregiudizio sociale che circonda la malattia.

In concomitanza con uno dei maggiori eventi mondiali legati all’HIV – il “Life Ball” – che si tiene ogni anno a Vienna, città dove ha sede la redazione della rivista, tutte le 3.000 copie del numero di primavera di Vangardist sono state stampate usando un’inchiostro mescolato con il sangue HIV positivo donato da tre persone infettate dal virus.

Ovviamente la rivista è stata prodotta applicando i più severi parametri di sicurezza, secondo le linee guida elaborate delle università di Harvard e di Innsbruk, ed è totalmente priva di rischi per chi la maneggia; ma le polemiche e le discussioni che ha scatenato sono state molto vivaci.
Proprio l’obiettivo che si voleva raggiungere, poiché nonostante 30 anni di campagne mirate e gli sforzi di attivisti e ricercatori l’HIV continua a essere la sesta causa di mortalità al mondo. Un dato che contraddice la percezione dell’Aids come qualche cosa di vecchio, che non fa notizia e di cui parlare una o due volte l’anno in occasioni istituzionali.
Di qui la decisione di Vangardist di riaccendere il dibattito sulla malattia e sul pregiudizio sociale, considerato da tutti come una delle cause che ne rendono difficile il contrasto.

“Come testata lifestyle”, commenta Julian Wiehl, Publisher e CEO di Vangardist, “siamo convinti di dover affrontare i temi che innervano la società attuale. E che cosa di più attuale del fatto che si registrano ogni anno l’80% di casi di HIV in più rispetto a dieci anni fa, e che il 50% dei contagiati viene identificato troppo tardi per essere curato al meglio a causa della renitenza a sottoporsi agli esami per non affrontare la stigmatizzazione sociale che ne deriva?”.
“Questa vicenda dimostra che nulla è impossibile”, conclude Jason Romeyko, Executive Creative Director di Saatchi & Saatchi Switzerland. “Quando siamo stati contatti da Vangardist perché li aiutassimo a elevare il livello di consapevolezza del problema in occasione del Life Ball, capimmo subito di avere di fronte un cliente “coraggioso”. Con questo progetto unico nel suo genere abbiamo puntato a sconfiggere i pregiudizi, trasformando il media stesso nella “radice” del pregiudizio. Quando le gente prende in mano una rivista in cui ogni parola, ogni riga, ogni immagine è stampata con inchiostro “contaminato” dall’HIV, con questo stesso gesto infrange il tabù sociale”.

Il numero di primavera di Vangardist è disponibile da oggi per gli abbonati, e sarà da settimana prossima disponibile nelle edicole e online.

Fonte:Advertiser

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Settimana Europea della Gioventù: l’impegno dell’ISS

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gioventù

In occasione della Settimana Europea della Gioventù, l’Istituto Superiore di Sanità ha pubblicato sul portale Uniticontrolaids i dati di accesso ai suoi servizi informativi su IST e HIV, Alcol e Fumo da parte dei giovani e una piccola lista con le FAQ e i miti da sfatare più comuni.

 

Liberare il potenziale dei giovani e promuovere l’ingresso al lavoro. Sono questi i due temi portanti della Settimana Europea della Gioventù, lanciata dalla Commissione Europea e giunta quest’anno alla sua settima edizione. A partire da ieri e fino al 10 maggio molti eventi sono stati organizzati in tutti i Paesi dell’UE. In Italia, l’Istituto Superiore di Sanità è particolarmente attento ai giovani, attraverso lo studio di alcuni aspetti critici per il benessere psico-fisico delle giovani generazione in quanto riguardano la messa in atto di comportamenti a rischio di Infezioni Sessualmente Trasmesse (IST), l’abitudine al fumo, l’abuso di alcol.

Al fine di ricevere informazioni scientificamente corrette e aggiornate per la salvaguardia della propria salute, nella specifica area dei comportamenti sessuali, è possibile contattare il Telefono Verde AIDS e Infezioni Sessualmente Trasmesse 800.861.061

Nel 2013 in Italia sono stati diagnosticati a ragazzi e ragazze sotto i 25 anni 1.191 nuovi casi di Infezioni Sessualmente Trasmesse (come ad esempio Clamidia, Gonorrea e Condilomi ano-genitali) di questi 890 sono stati testati anche per HIV. Degli 890 giovani con IST, testati per HIV, l’1,6% (pari a 14 giovani tra i 15 e i 24 anni) è risultato positivo all’HIV. (Fonte: Centro Operativo AIDS, Istituto Superiore di Sanità, Roma COA).
La prevenzione di tali patologie necessita di interventi informativi integrati che nello specifico si realizzano attraverso l’attività di counselling telefonico effettuata dal TelefonoVerde AIDS e e IST e attraverso la comunicazione via web del portale “Uniti contro l’AIDS”.

I giovani al di sotto dei 25 anni che dal 1987 ad oggi si sono rivolti al TVA e IST sono circa 200.000 e, per oltre il 50%,le domande più frequentemente rivolte agli esperti hanno riguardato:
– Informazioni sui test diagnostici – HIV e IST (27,5%)
– Informazioni sulle vie di trasmissione delle IST e prevalentemente dell’HIV (25,7%).

Si riportano alcune delle domande più frequenti pervenute da parte dei giovani

1. Come si trasmette l’infezione da HIV?
L’infezione da HIV si trasmette attraverso:

– Contatto sessuale: rapporti vaginali, anali, oro-genitali praticati e contatto diretto tra genitali in presenza di secrezioni, non protetti dal preservativo. Tale trasmissione avviene attraverso il contatto tra liquidi biologici infetti (secrezioni vaginali, liquido precoitale, sperma, sangue) e mucose anche integre, durante i rapporti sessuali. Ulcerazioni e lesioni dei genitali causate da altre patologie possono far aumentare il rischio di contagio.

– Contatto con sangue infetto: scambio di siringhe, trasfusioni di sangue o di prodotti di sangue infetti e/o trapianti di organi infetti, utilizzo di strumenti infetti. Contatto diretto tra ferite cutanee, profonde, aperte e sanguinanti, schizzi di sangue o di altri liquidi biologici sulle membrane/mucose (come gli occhi).

– Trasmissione verticale: da madre sieropositiva a figlio durante la gravidanza, il parto o l’allattamento al seno.

2. Il petting può trasmettere l’infezione da HIV?
Il petting (insieme di pratiche ed effusioni di natura sessuale, quali bacio, masturbazione, contatto dei genitali, carezze reciproche, ma che non prevedono rapporti sessuali penetrativi completi), può essere a rischio nel momento in cui bocca, pene, vagina o ano vengano a contatto diretto con liquidi genitali, quali secrezioni vaginali, secrezioni precoitali, sperma e/o con sangue.

3. Il rapporto oro-genitale è a rischio per l’HIV?
È a rischio solo per la persona che mette la propria bocca (rapporti oro-genitali praticati) a contatto con i genitali di un partner che vive con l’HIV. Tuttavia, potrebbe risultare a rischio anche per chi subisce il rapporto (persona che mette i propri genitali a contatto con la bocca dell’altro) se il partner ha ferite aperte e sanguinanti in bocca, tanto da lasciare tracce copiose ed abbondanti di sangue sui genitali del partner

4. Quando è opportuno effettuare il test HIV?
Il test deve essere eseguito dopo 3 mesi (periodo finestra) dall’ultimo comportamento a rischio. Tale periodo di tempo è necessario all’organismo per sviluppare gli anticorpi specifici contro l’HIV.
È opportuno fare sempre riferimento alla valutazione del medico che ha prescritto l’esame o alle indicazioni fornite dal professionista che la persona incontra nel Centro Diagnostico-Clinico.

“Uniti contro l’AIDS” dal 2013 integra l’attività di HIV, AIDS e IST counselling telefonico svolta dal Telefono Verde con una costante attività online attraverso non solo il Sito, ma anche l’account Twitter @UniticontroAIDS, il Servizio Skype uniticontrolaids e il canale YouTube uniticontrolaids.

Il Telefono verde alcol 800.63.2000

I servizi di alcologia e di recupero dell’alcoldipendenza hanno in carico oltre 71.000 utenti. I cosiddetti binge drinkers sono circa tre milioni e mezzo, con punte preoccupanti tra i giovani di 18-24 anni, e quote superiori alla media nazionale per le ragazze tra i 16-17 anni (dati Osservatorio Nazionale Alcol -CNESPS). Per tutti loro, per i loro famigliari, per le istituzioni e le associazioni è a disposizione il numero verde alcol 800.63.2000 dell’ISS: un servizio di counselling telefonico nazionale, anonimo e gratuito, attivo dal lunedì al venerdì dalle 10.00 alle 16.00 (inoltre, negli stessi giorni, dalle 10.00 alle 13.00, risponde un esperto sulla Sindrome feto-alcolica). Fornisce informazioni sugli effetti dell’alcol sulla salute e sulla legislazione in materia, indica le strutture pubbliche presenti su tutto il territorio nazionale, le associazioni di volontariato e di auto aiuto che si occupano dei problemi legati all’alcol, fornisce materiale di prevenzione.

Miti da sfatare (a cura dell’Osservatorio CNESPS, SIA, AICAT)

1. L’alcol favorisce la digestione e disseta.
Falso. Al contrario l’alcol rallenta la digestione poiché aumenta la secrezione gastrica con alterato svuotamento dello stomaco. Inoltre, poiché per essere metabolizzato necessita di tanta acqua che viene poi persa con le urine, favorisce la disidratazione.

2. Bere a stomaco vuoto fa male.
Vero. Il cibo fa da tampone e limita lo spazio disponibile all’alcol occupando gran parte della superficie delle pareti dello stomaco, in tal modo l’alcol viene assorbito gradualmente. Basti pensare che a digiuno si raggiunge il picco di alcolemia, cioè la quantità di alcol nel sangue, dopo appena 20 minuti, mentre a stomaco pieno l’alcolemia risulta dimezzata.

3. Un bicchiere di vino rosso aiuta la salute cardiovascolare.
Falso. Le proprietà benefiche del resveratrolo contenuto nella buccia dell’uva non sono mai state provate. Inoltre, per ottenere i vantaggi tanto decantati, bisognerebbe berne una quantità tale che l’alcol pregiudicherebbe senz’altro le proprietà della molecola.

4. A parità di bicchieri, l’alcol è più dannoso per le ragazze che per i ragazzi.
Vero. La donna ha una capacità dimezzata rispetto all’uomo di distruggere l’alcol a parità di consumo. Lo assorbe più velocemente e lo espelle più lentamente: si ubriaca perciò più in fretta con quantità inferiori rispetto all’uomo.

5. L’alcol tiene svegli e rende più disinvolti nei rapporti con gli altri.
Falso. L’alcol è, semmai, un sedativo in grado solamente di camuffare la sensazione di fatica e il dolore. Nell’immediato disinibisce ed eccita, ma nel tempo favorisce ansia, depressione e irritabilità.

Il Telefono verde fumo 800.554.088

In Italia vi sono oltre 11 milioni di fumatori. Tra questi i giovanissimi sono, spesso, forti fumatori: circa il 30% tra i 15 e i 24 anni fuma 15 sigarette al giorno e l’1,3% più di 25 sigarette al dì (dati Osservatorio Fumo, Alcol e Droga dell’ISS). Il Telefono verde fumo dell’ISS – 800.554.088 – si rivolge a tutti i fumatori (e ai loro famigliari) per indirizzarli e sostenerli nel percorso per smettere di fumare (indica le terapie e i metodi per smettere di fumare, indirizza verso i centri antifumo presenti sul territorio nazionale), ai non fumatori per indicare le strategie di tutela dal fumo passivo, agli ex fumatori per sostenerli in momenti a rischio di ricadute, agli operatori socio-sanitari per fornire materiale scientifico, informativo e divulgativo sugli effetti sulla salute causati dal fumo, alle istituzioni pubbliche e private per programmare interventi di prevenzione e promozione della salute. E’ un servizio nazionale, anonimo e gratuito, attivo dal lunedì al venerdì dalle 10.00 alle 16.00. Da circa un anno il numero verde contro il fumo è scritto anche sui pacchetti di sigarette.

Miti da sfatare (a cura dell’Osservatorio Fumo, Alcol e Droga)

1. Fumare tre sigarette al giorno non fa male.
Falso. Per il fumo non esiste un valore soglia al di sotto del quale non si corrono rischi. Il grado di tossicità dipende, oltre che dal numero di sigarette fumate, dall’età di iniziazione, da quanto tempo si fuma e dalle caratteristiche proprie della persona.

2. Il fumo, se non viene inalato, non è dannoso.
Falso. Sono oltre quattromila le sostanze chimiche liberate dal fumo di sigaretta al momento della combustione: nicotina, monossido di carbonio e catrame, tra le più conosciute. Tra le altre, troviamo il polonio alfa-radioattivo 210 (Po-210) derivante dai fertilizzanti utilizzati nelle piantagioni di tabacco e il piombo 210 (Pb-210) che fanno sì che un fumatore di 20 sigarette al dì per un anno è come se si sottoponesse a circa 25 radiografie al torace.

3.Smettere di fumare produce innumerevoli benefici già nell’immediato e a distanza di anni.
Vero. Cuore e polmoni sono, nell’immediato, meno affaticati. I denti e le dita non si ingialliscono più. A distanza di cinque anni si dimezza il rischio di sviluppare alcuni tipi di tumore (gola, esofago, cavità orale, vescica, utero) e dopo 10 anni si dimezza anche la possibilità di contrarre un tumore ai polmoni.

4.Le sigarette light, come pure quelle fatte a mano, non fanno meno male di quelle normali.
Vero. La differenza tra le “light” e le sigarette normali non esiste dal punto di vista degli effetti sulla salute. Le sigarette rollate (le sigarette “fai-da-te”) sono pericolose quanto quelle tradizionali, se non di più quando vengono utilizzate senza filtro.

5.Le sigarette elettroniche favoriscono la cessazione dell’abitudine al fumo.
Falso. La sigaretta elettronica è di recente introduzione. Non ci sono ancora sufficienti studi per dimostrare la sua efficacia come ausilio per smettere di fumare né tantomeno il grado della sua potenziale tossicità.

Fonte: Uniticontrolaids

L’articolo Settimana Europea della Gioventù: l’impegno dell’ISS è uno degli articoli di Poloinformativo HIV AIDS.

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Nuove linee guida EASL per l’epatite C con priorità al trattamento senza interferone.

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Notizia da Poloinformativo HIV AIDS

epatite cUno sguardo alle nuove Linee Guida sul trattamento dell’HCV da un articolo di Aidsmap in collaborazione con Hivandhepatitis.
Traduzione e adattamento a cura di Poloinformativohiv

L’Associazione Europea per lo Studio del Fegato (EASL) ha pubblicato le sue ultime linee guida di trattamento dell’epatite C che raccomandano l’utilizzo di antivirali ad azione diretta senza interferone (DAA) come regimi prioritari per le persone con epatite C genotipo da 1 a 6.

In concomitanza con la conferenza tenutasi a Vienna la scorsa settimana, EASL e l’Associazione Latinoamericana per lo Studio del Fegato hanno promulgato linee guida comuni per la valutazione non invasiva della gravità della malattia epatica, evidenziando che la misura della rigidità del fegato ( tramite Fibroscan) sta ormai diventando lo standard di cura al posto della più invasiva biopsia.

Le linee guida, pubblicate nell’edizione online di aprile del Journal of Hepatology e disponibili sul sito EASL, hanno lo scopo di aiutare i medici e altri operatori sanitari, così come le persone con epatite C e altre persone interessate,nel processo clinico decisionale.

Jean-Michel Pawlotsky ha presentato una panoramica delle raccomandazioni aggiornate ribadendo che tutte le persone infette da epatite C cronica hanno il diritto di essere trattati, ma non è possibile nascondere la realtà.
I nuovi farmaci sono troppo costosi e il numero di pazienti è enorme quindi c’è l’impossibilità di trattare tutti nei prossimi due anni ed è necessario stabilire delle priorità.
Chi dovrebbe essere trattato?

L’obiettivo del trattamento dell’epatite C è quello di eradicare l’infezione da HCV, al fine di prevenire la cirrosi epatica, scompenso epatico, carcinoma epatocellulare (tumore del fegato) e la morte. Tra le persone con cirrosi avanzata, il trattamento può ridurre la necessità di trapianto di fegato.

Le linee guida assegnano la priorità di trattamento in base allo stadio della fibrosi epatica, al rischio di progressione, a manifestazioni extra-epatiche e alla probabilità di trasmissione del virus.

Il trattamento è una priorità per le persone con fibrosi avanzata o cirrosi (Metavir fase F3-F4), comprese le persone con cirrosi scompensata, che possono trarre enormi benefici dal trattamento. Ma le persone con malattia epatica molto avanzata – punteggio di Child-Pugh-Turcotte sopra 12 – non possono beneficiare tanto.

Altri gruppi ad alta priorità sono le persone con co-infezione con HIV o con HBV, le persone che sono in attesa o hanno appena ricevuto un trapianto di fegato, le persone con significative manifestazioni cliniche extra-epatiche e quelli con affaticamento debilitante. Il trattamento deve essere una priorità per le persone a maggior rischio di ritrasmissione di HCV, comprese le persone che utilizzano droghe per via iniettiva, uomini gay e bisessuali con pratiche sessuali ad alto rischio e le donne che desiderano diventare madri.

Le linee guida affermano che il trattamento sia giustificato per le persone con fibrosi moderata (stadio F2), e Pawlotsky ha suggerito che il motivo giustificante il trattamento di questi pazienti può essere l’affaticamento debilitante.
Le persone con fibrosi assente o lieve (stadio F0-F1) puossono rinviare il trattamento, ma devono essere valutati periodicamente per la progressione della malattia e per discutere le nuove opzioni di trattamento che potranno diventare disponibili o accessibili. Il trattamento non è consigliato, invece, per le persone con la speranza di vita limitata a causa di condizioni non correlate alla malattia del fegato.
Regimi raccomandati per genotipo

Gli antivirali ad azione diretta senza Interferone (DAA), sono le migliori opzioni quando disponibili secondo le linee guida, a causa della loro efficacia virologica, della facilità d’uso e della buona tollerabilità.

Interferone pegilato e ribavirina, o triplice terapia con interferone / ribavirina e boceprevir (Victrelis) o Telaprevir (INCIVO o Incivek) rimangono accettabili solo se nessuna delle nuove opzioni sono disponibili. “Il messaggio è che si può utilizzare una terapia ottimale se non avete niente altro”, ha sottolineato Pawlotsky. “Prima ci si sbarazza del virus meglio è.”

La ribavirina ha ancora un ruolo da svolgere nel contribuire a prevenire le ricadute in persone difficili da trattare. Le persone con cirrosi e quelle che hanno ricevuto un trapianto di fegato dovrebbero includere se possibile la ribavirina nel loro regime interferon-free. Per coloro che non possono utilizzare ribavirina a causa di intolleranza o controindicazioni, la durata del trattamento dovrebbe essere esteso.

Quando EASL ha pubblicato le ultime linee guida 2014 al Congresso Internazionale del fegato erano disponibili: l’inibitore della polimerasi HCV Sofosbuvir (Sovaldi), il simeprevir inibitore della proteasi HCV (Olysio) e Daclatasvir inibitore NS5A (Daklizna). Da allora, sono stati approvati tre ulteriori opzioni: la coformulazione Sofosbuvir / ledipasvir (Harvoni), la coformulazione paritaprevir / ritonavir / ombitasvir (Viekirax) e l’ inibitore della polimerasi dasabuvir (Exviera); questi ultimi due sono omologati come un unico regime di ‘3D’ negli Stati Uniti (Viekira Pak).

I seguenti regimi sono inclusi nei nuovi orientamenti, insieme con i genotipi per cui sono indicati:

Senza interferone:

Sofosbuvir + ribavirina: genotipi 2 e 3
Sofosbuvir / ledipasvir +/- ribavirina: genotipi 1, 4, 5, e 6
Paritaprevir / ritonavir / ombitasvir + dasabuvir +/- ribavirina: genotipo 1
Sofosbuvir + simeprevir +/- ribavirina: genotipi 1 e 4
Sofosbuvir + Daclatasvir +/- ribavirina: tutti i genotipi
Paritaprevir / ritonavir / ombitasvir +/- ribavirina: genotipo 4

Regimi contenenti interferone:

Interferone pegilato alfa-2a + ribavirina + Sofosbuvir: tutti i genotipi
Interferone pegilato alfa-2a + ribavirina + simeprevir: genotipi 1 e 4
La durata standard della terapia senza interferone è in genere di 12 settimane. Alcune persone con genotipo 1 e senza cirrosi possono utilizzare Sofosbuvir / ledipasvir per appena 8 settimane senza ribavirina. Le persone con genotipo 1 che hanno cirrosi devono aggiungere ribavirina o estendere il trattamento a 24 settimane. Sebbene il sottotipo 1a è considerato più difficile da trattare rispetto 1b, le raccomandazioni per il trattamento sono generalmente simili.

Non ci sono molte opzioni per le persone con genotipo 2 o 3, e ci sono pochi dati sui genotipi 5 e 6.

Nel caso di cirrosi scompensata ci sono poche raccomandazioni in base al genotipo: Sofosbuvir e ribavirina (genotipo 2 e 3), e Sofosbuvir con ledipasvir (genotipi 1, 4, 5, e 6) o Daclatasvir (tutti i genotipi).

Altre considerazioni

Oltre a specifici regimi antivirali, le linee guida prevedono anche raccomandazioni in materia di monitoraggio durante il trattamento, la gestione di effetti collaterali e interazioni farmaco-farmaco, migliorando l’aderenza e le opzioni per la ri-trattamento dei non-responder.

Il Ri-trattamento in gran parte dipende da quale regime la persona ha ricevuto inizialmente e se portatore di varianti virali resistenti ai farmaci. Per le persone che iniziano il trattamento per la prima volta, può essere vantaggioso un trattamento forte e duraturo con la terapia di prima linea – anziché cercare di abbreviarlo o ridurre il numero di farmaci proprio per evitare la necessità di ri-trattamento.

Il monitoraggio della carica virale HCV prima, durante e dopo il trattamento è stato un aspetto critico nel trattamento con la terapia a base di interferone. ” Il monitoraggio HCV RNA non vi aiuterà a prendere decisioni sul trattamento [con DAAS]”, ha sottolineato Pawlotsky. “Se la carica virale scende velocemente è un bene, ma non serve per prevedere l’eradicazione.”
Per quanto riguarda la co-infezione HIV / HCV gli studi hanno dimostrato che le persone con co-infezione e le persone con mono-infezione rispondono altrettanto bene alla terapia senza interferone, e le indicazioni per il trattamento sono dunque identiche salvo tener conto delle interazioni farmacologiche con la terapia antiretrovirale, ha detto il Professor Puoti. Con circa 30 farmaci antiretrovirali disponibili, “ora è possibile trattare tutti i pazienti con HIV [per l’epatite C] senza modificare il loro regime antiretrovirale”, anche se in alcuni casi gli aggiustamenti posologici possono essere indicati. “Gli specialisti in materia di HIV si occupano della gestione delle interazioni farmaco-farmaco”, ha aggiunto.

Guardando le persone che sono in attesa o hanno ricevuto un trapianto di fegato, le raccomandazioni per il trattamento non sono definitive ed hanno diverse aree di incertezza. Il trattamento viene generalmente indicato pre-trapianto in quanto può prevenire l’infezione del fegato donatore. Ma il momento ottimale richiede una valutazione individuale.

Le linee guida contengono anche sezioni sul trattamento di altre popolazioni speciali, tra cui le persone con co-infezione da HBV, le persone con malattia renale cronica e quelli sottoposti a dialisi renale (la sicurezza di Sofosbuvir può essere ridotta in questi pazienti), le persone con malattie emorragiche, i consumatori di sostanze e le persone in terapia sostitutiva.

“Trattamento HCV deve essere presa in considerazione per [le persone che si iniettano droghe], a condizione che desiderano ricevere un trattamento e siano in grado e disposti a mantenere appuntamenti regolari,” affermano le linee guida. “Il trattamento HCV è stato eseguito con successo nei tossicodipendenti attraverso vari modelli clinici, compresi ospedali e le cliniche per la cura del fegato , cliniche per la disintossicazione, carceri, e cliniche delle comunità.” Mentre dagli studi con DAA sono solitamente escluse le persone che stanno attualmente utilizzando sostanze, molti hanno compreso partecipanti in terapia sostitutiva e negli studi di interazione tra farmaci fino ad oggi non sono state trovate interazioni clinicamente importanti con metadone o buprenorfina.
Di cosa abbiamo bisogno ora: lacune della ricerca e un migliore accesso

Nel confronto tra le linee guida di trattamento EASL e AASLD, Donald Jensen rappresentante della American Association for the Study of Liver Diseases (AASLD) si è detto impressionato da quanto siano simili. “Il loro potere si basa sul fatto che le linee guida sono molto consistenti”, ha detto. “Le differenze indicano le aree in cui c’è bisogno di ulteriori studi.”

Le questioni aperte comprendono migliori regimi per le persone con grave cirrosi scompensata , il momento ottimale per il trattamento (prima o dopo il trapianto), le opzioni migliori per le persone con HCV genotipo 3, e più dati sui genotipi 5 e 6.

Infine, i partecipanti hanno discusso quello che è diventato forse il problema più urgente per quanto riguarda il trattamento dell’epatite C: estendere l’accesso a tutti di fronte a risorse limitate.

L’accesso è il più grande problema ora visto che la maggior parte delle persone che sono con HCV non sa di esserlo.
Ciò rende necessario aumentare lo screening e nello stesso tempo il prezzo dei farmaci è eccessivo. Nella maggior parte dei paesi europei il trattamento è limitato ai pazienti in stadio avanzato.

Accorciare la durata del trattamento per abbassare il prezzo può essere un’arma a doppio taglio in quanto il ri-trattamento dopo recidiva, anche solo nel 5% dei casi, può superare i risparmi di un trattamento più breve.

Gli studi hanno dimostrato che anche il rinvio del trattamento porta a risultati negativi, ma è il costo ad influenzare le decisioni politiche.
Non ci sarà alcuna soluzione a questo fino a quando non ci sarà più concorrenza e i farmaci caleranno di prezzo, ci vorranno da 2 a 5 anni

References

Pawlotsky JM et al. (European Association for the Study of the Liver) EASL recommendations on treatment of hepatitis C 2015. Journal of Hepatology online edition, 2015.

Castera L et al. (European Association for the Study of the Liver and Asociacion Latinoamericana para el Estudio del Higado) EASL-ALEH clinical practice guidelines: non-invasive tests for evaluation of liver disease severity and prognosis. Journal of Hepatology online edition, 2015.

Link articolo in inglese: Aidsmap

Traduzione e adattamento a cura di Poloinformativohiv
In caso di utilizzo si prega di citare fonte della traduzione e link

L’articolo Nuove linee guida EASL per l’epatite C con priorità al trattamento senza interferone. è uno degli articoli di Poloinformativo HIV AIDS.

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