S.T. Eye, il condom che diagnostica le malattie sessuali

postato in: AIDS, HCV, HIV | 0

 

S.T. Eye, il condom che diagnostica le malattie sessuali

Concepito da tre adolescenti per il concorso Teen Tech Award, si tratta di un’idea rivoluzionaria che può aumentare la consapevolezza verso le patologie sessualmente trasmissibili: il condom cambia colore e diventa viola per il papillomavirus, verde per la clamidia, blu per la sifilide, giallo per l’herpes.

Ritardanti, stuzzicanti, aromatizzati, luminescenti, ultra-sottili, extra-resistenti, stimolanti: oggigiorno esistono preservativi per tutti i gusti, per tutte le esigenze, probabilmente concepiti per aumentarne l’utilizzo e la consapevolezza della loro importanza. Alcuni studenti hanno in questi giorni vinto il prestigioso Teen Tech Award di Londra per aver avuto un’idea rivoluzionaria: il primo condom intelligente, strumento di diagnosi oltre che di protezione e di prevenzione, che cambia colore se chi lo indossa è affetto da malattie sessualmente trasmissibili. Si chiama S. T. Eye, ed è stato concepito da tre adolescenti britannici della Isaac Newton Academy di Illford.Questo speciale tipo di preservativo possiede al suo interno uno strato interno di lattice impregnato di molecole che, messe a contatto con le principali malattie sessualmente trasmissibili, si attaccano batteri e virus inducendo una modifica del colore dell’oggetto: viola per il papillomavirus, verde per la clamidia, blu per la sifilide, giallo per l’herpes. Grazie a questa invenzione i ragazzi hanno conquistato il prestigioso Teen Tech Award, premio concepito per promuovere scienza e ingegneria nelle scuole che richiede ai suoi partecipanti di inventare una tecnologia che possa rendere il mondo migliore, o più semplice e comodo: la loro è stata dichiarata la miglior innovazione nel campo della salute, ed è valsa ai vincitori un premio di mille sterline e la possibilità di visitare Buckingham Palace.D’altronde, si tratta di uno strumento molto utile, visto che la diffusione di malattie sessualmente trasmissibili è purtroppo in crescita tra i giovani, che si espongono sempre più a comportamenti a rischio in quanto possiedono una percezione del pericolo piuttosto bassa: forse colpa, se così si può dire, della diminuzione della mortalità associata ad HIV e AIDS, un tempo autentico flagello e oggigiorno percepite come malattie non guaribili ma gestibili. D’altronde, le malattie sessualmente trasmissibili rappresentano un rischio da non sottovalutare per la salute di chi le contrae: per esempio la clamidia, patologia legata ad un batterio gram negativo, risulta spesso asintomatica nelle prime fasi fino a svilupparsi e diventare malattia pelvica infiammatoria, che pone il soggetto a rischio infertilità; o il papillomavirus, che in alcuni casi può provocare tumore del collo dell’utero, grave neoplasia che porta al decesso di circa il 50% delle donne che ne è affetto.

Per questo l’invenzione dei tre ragazzi inglesi, sebbene al momento rappresenti solamente un’idea, può risultare rivoluzionaria e salvare la vita di molte persone: sapere di essere affetti da una di queste patologie significa aumentare la consapevolezza a riguardo, curarsi tempestivamente e guarire prima che possano affacciarsi possibili complicazioni. Tra le altre trovate dei geniali adolescenti che hanno partecipato al concorso, di età compresa tra gli 11 e i 16 anni, si possono citare un fermacapelli collegato tramite connessione wifi che cambia colore in base ai vestiti di chi lo indossa, per aver sempre gadget abbinati; o un oggetto da infilare al polso per controllare il battito, sempre connesso al telefono cellulare, che possa subito chiamare numeri d’emergenza in caso di crisi. Questi giovani sembrano proprio avere il futuro nelle loro mani.

FONTE : Teen Tech Award, Isaac Newton Academy © 2015 sanihelp.it. All rights reserved.

Canale informativo: ilgiornale.it

L’articolo S.T. Eye, il condom che diagnostica le malattie sessuali è uno degli articoli di Poloinformativo HIV AIDS.

Tutti gli articolidi di admin

Canale informativo Poloinformativo HIV AIDS – per saperne di più su hiv e aids

7000 addetti per 300mila malati. I SERD non bastano

postato in: AIDS, HIV | 0

Notizia da Poloinformativo HIV AIDS

7000 addetti per 300mila malati. I SERD non bastanoLo scorso anno al tradizionale ruolo contro le tossicodipendenze, ai SERD è stato affidato anche quello su gioco d’azzardo, tabagismo, alcolismo. Mancano però mezzi e risorse per fare davvero prevenzione. Colloquio col prof. Alfio Lucchini, direttore del Dipartimento Dipendenze ASL Milano 2.

Direttore lei sta studiando da molti anni l’organizzazione e l’offerta di servizio dei SERD in Italia: queste strutture sono ancora utili, per far fronte alle tossicodipendenze? In effetti la mia esperienza supera ormai i 30 anni di impegno. Dallo scorso anno i vecchi Sert che risalivano al ’90 si sono trasformati in SerD – servizi pubblici per le dipendenze.
 Non è un fatto solo nominalistico, è cambiato il mandato dei Servizi: oggi dobbiamo affrontare tutto lo spettro delle dipendenze, legali ed illegali, da sostanze e da comportamenti.Gli operatori sono figure professionali pluridisciplinari, in grado di affrontare la complessità e plurifattorialità della patologia da affrontare, garantendo l’accesso diretto alle cure e ovviamente l’anonimato dei nostri pazienti. Il nostro è un lavoro che permette di ridurre o interrompere il consumo di droghe e di comportamenti dipendenti.
Di prevenire danni futuri associati al consumo di droghe o dei comportamenti di dipendenza, di ridurre fino ad abolire la assunzione, e anche la assunzione non sicura, delle droghe per via iniettiva al fine di prevenire la diffusione dell’HIV, dell’HCV e di altre malattie infettive. E quindi di migliorare la qualità della vita ed il benessere psichico del paziente, riducendo il rischio di overdose e le attività criminali.
Il bacino di utenza è enorme, circa 300.000 persone si sono rivolte nell’ultimo anno ai SerD e ai Dipartimenti delle Dipendenze: per questo penso che non solo vi sia la necessità dei SerD, che attualmente sono 550 nelle ASL italiane, ma è urgente che le Istituzioni se ne occupino maggiormente per valorizzarli dotandoli di maggior personale e strumenti. Esistono le statistiche ma anche la percezione che attesta la qualitá del nostro lavoro: un sondaggio del 2012 FeDerSerD/Eurisko ha indicato un 90% dei pazienti che valutano buona la accessibilità ai Ser.D. L’80% si dichiara soddisfatto della terapia in corso, l’80% ritiene di aver migliorato la propria condizione psico-socio-relazionale, il 75% afferma di avere avuto continuità terapeutica in carcere (se ha avuto questa esperienza). Infine il 90% ritiene soddisfacente il programma al SerD.
Quali servizi offrite e fino a che punto riuscite a farlo, per risorse, personale ed anche presenza sul territorio
La situazione del personale è problematica: negli ultimi dieci anni sono quasi raddoppiati i pazienti e il personale è rimasto bloccato a circa 7.000 unità. Garantire i livelli essenziali di assistenza che comprendono attività di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione è difficilissimo e in molte realtà già disatteso. Si continua a spendere in Italia meno dello 0,8% del fondo sanitario nazionale per la lotta alle dipendenze, mentre i costi sociali e sanitari incidono sul PIL per un valore in euro decine di volte superiore. Le differenze in capacità programmatoria e servizi offerti tra Regione e Regione e talvolta tra ASL della stessa Regione sono imbarazzanti.Come è cambiato nel corso di questi anni lo specifico di chi si rivolge ad un SERD?La cosa significativa è che ai SerD si presentano sempre più persone, giovani e meno giovani, considerabili “normali”. Ad esempio cittadini che sono incorsi in problemi legati alla guida per abuso di alcol o sostanze: parlo di decine di migliaia di utenti. O lavoratori, con particolari mansioni tipo quelle che prevedono movimentazioni, che sottoposti ad accertamenti per verificare l’uso di sostanze, sono risultati positivi ad almeno una sostanza. Insomma compiti di sanità pubblica. Per quel che riguarda le sostanze, in molte aree del Paese è la cocaina la droga più frequentemente utilizzata dai nuovi utenti dei SerD. Ma anche il poliabuso, sia di sostanze quali alcol e cocaina, o alcol e psicofarmaci, è sempre più rappresentato. E infine c’è il GAP, il gioco d’azzardo patologico, emergenza degli ultimi anni.I SERD riescono ad intercettare i nuovi tossicodipendenti, quelli del week-end, i ragazzi che usano solo droghe sintetiche, i milioni che fanno uso costante di cannabinoidi?
Credo non sia possibile pensare di intervenire su comportamenti che hanno pervaso la società in modo significativo e che hanno vissuti diversi, con i soli Servizi di accoglienza e cura. Ad esempio il consumo di cannabis: è assai diffuso, si valuta che oltre un terzo dei giovani ne abbia fatto uso, ma da noi arrivano quei 30mila che incorrono in problemi amministrativi o legali per averla assunta. La scelta centrale dovrebbe essere quella della prevenzione, e di interventi coordinati a livello dei territori, con centri aggregativi, unità mobili, servizi di approccio precoce.Oltre a queste strutture a suo avviso quale dovrebbe essere la risposta del pubblico per far fronte alle gravi tossicodipendenze? Le comunità di recupero, ad esempio, sono ancora progetti validi? Esiste la necessità di riflettere ed intervenire su situazioni di vita complicate, in cui la tossicodipendenza rappresenta la risposta incontrata per “proseguire a vivere”. Il termine cronicità non deve spaventarci, e le fragilità gravi richiedono interventi di lungo respiro. Le gravi dipendenze si caratterizzano per la possibile ciclicità della presentazione dei fenomeni di abuso e dipendenza. Quindi i SerD devono migliorare i percorsi legati alla intensità di cure, con interventi coordinati con il sistema della medicina territoriale. Il ruolo delle Comunità terapeutiche deve cambiare profondamente e diventare parte integrante dei progetti territoriali, con percorsi flessibili, in stretto rapporto con SerD. In linea generale le Comunità dovrebbero orientarsi su una maggiore specializzazione e modularità delle offerte.
I SERD dovrebbero occuparsi anche delle altre dipendenze, soprattutto alcol, ma anche fumo e gioco d’azzardo: avete modo di fare tutto? Ce ne occupiamo: in questo momento ad esempio di fatto solo i SerD prendono in cura giocatori d’azzardo patologico, circa 8.000. Per l’alcol 75.000 persone sono in cura nei servizi alcologici, di norma unità organizzative dei Servizi o dei Dipartimenti delle Dipendenze. Gli interventi di disassuefazione dal tabagismo al 65% sono curati dai Servizi delle Dipendenze e in modo minoritario da ambulatori ospedalieri o da associazioni di interesse. Ma torno a dire: dovrebbe essere l’insieme del sistema sanitario ad occuparsi di questi aspetti ritenuti da tutti centrali per la salute dei cittadini.
Fonte: rainews.it

 

Nasce la prima casa per omosessuali e transgender discriminati

postato in: AIDS | 0

Notizia da Poloinformativo HIV AIDS

Nasce la prima casa per omosessuali e transgender discriminati Nasce la prima casa per omosessuali e transgender discriminati
„Il progetto, nato dall’unione di Cri e Gay Center, verrà presentato giovedì prossimo. Bonafoni (Sel): “Un segno dell’interesse non formale della Regione Lazio”. In sostegno della Anlaids Lazio“.

 

La prima casa di ospitalità per persone omosessuali e transgender sorgerà a Roma, e verrà dedicata a coloro che hanno subito violenze e discriminazioni e hanno bisogno di un rifugio. L’iniziativa sarà presentata giovedì prossimo a Palazzo Doria Pamphilj, in una serata di gala in favore delle attività di Anlaids Lazio e del progetto di Croce Rossa Italianae Gay Center.

Il progetto si chiama ‘Refuge Lgbt’, ed è nato in seno al comitato provinciale romano della Croce Rossa insieme all’associazione Gay Center con il sostegno della Regione Lazio: è la prima casa di ospitalità temporanea in tutta Italia. L’obiettivo è quello di aiutare le persone vittime di discriminazione a superare i traumi che hanno subito per il loro orientamento sessuale, restituendo loro autonomia tramite la riscoperta delle proprie risorse e della costruzione di nuove possibilità lavorative. La casa, gestita da personale qualificato, fornirà assistenza gratuita agli ospiti, integrando i suoi servizi con quelli offerti dal territorio. Nella struttura, anche la Croce Rossa di Roma offrirà supporto psicologico e legale, orientamento scolastico e professionale, oltre che mediazione culturale e con i servizi sociali.

Alla nascita della casa ha partecipato anche Anlaids Lazio: l’associazione, infatti, pone la prevenzione come punto focale dei suoi progetti rivolti ai più giovani, come quello dedicato alle scuole, che ha come obiettivo l’informazione sui rischi di contrazione del virus Hiv. Ogni anno, infatti, quasi la metà delle nuove infezioni interessa i giovani tra i 15 e i 30 anni.

Partner dell’iniziativa è Edge, la prima lobby italiana di professionisti, imprenditori e manager Lgbt.

“Il progetto Refuge Lgbt di Croce Rossa è rivolto alle persone vittime di discriminazioni, per offrire loro non solo accoglienza e supporto ma un vero e proprio punto di partenza per riprendere in mano la propria vita. Vogliamo partire da Roma per creare quella rete che segua il modello francese che ci ha ispirato” ha dichiarato Flavio Ronzi, presidente di Croce Rossa Roma.

 

Nasce la prima casa per omosessuali e transgender discriminati
„Entusiasta anche il commento di Marta Bonafoni, consigliera Sel alla Regione Lazio: “La realizzazione a Roma della prima casa di ospitalità per persone omosessuali e transgender che hanno subito violenze e discriminazioni, progetto della Cri e di Gay Center, con il contributo della Regione Lazio, è la prova dell’attenzione, non formale, che questa Amministrazione ha sul tema dei diritti e del rispetto delle diversità – è stato il suo commento, affidato a una nota – Prevenzione, educazione, sostegno psicologico e legale, ma anche intervento mirato a restituire gli strumenti e la fiducia per ripartire alle persone che hanno subito una ingiustizia così infame. Un impegno, quello della Regione Lazio, a tutto campo, e che in quest’ultimo caso dimostra una visione di lungo periodo su un tema così delicato e che riguarda in primis un diverso approccio culturale alle questioni di genere. Un fatto di cui andare orgogliosi”.“

Fonte: romatoday.it

 

No all’espulsione del cittadino extracomunitario affetto da HIV

postato in: AIDS, HCV, HIV | 0

Notizia da Poloinformativo HIV AIDS

No all’espulsione del cittadino extracomunitario affetto da HIV
Michele Didonna – Avvocato amministrativista del foro di Bari

È illegittimo il diniego opposto avverso un’istanza di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, nel caso in cui il richiedente risulti sottoposto a un trattamento sanitario indifferibile e urgente somministrato da un’Azienda ospedaliera italiana in ragione della grave patologia da cui lo stesso risulta affetto.

 

La Sez. III del T.A.R. Palermo, con la sentenza 28 maggio 2015, n. 1252, ha chiarito come l’Amministrazione competente non possa rigettare un’istanza di rilascio di permesso di soggiorno per motivi umanitari nel caso in cui il richiedente gravemente malato abbia la necessità di avvalersi di cure mediche urgenti o comunque essenziali. Di talché, ha ritenuto illegittimo il diniego opposto dalla P.A. alla richiesta di rilascio di permesso di soggiorno presentata da un cittadino extracomunitario affetto da HIV e sottoposto a un trattamento sanitario indifferibile e non suscettibile di interruzione.

Fonte: quotidianogiuridico.it

 

 

 

U.E. – Droga in Europa. Relazione 2015 dell’EMCDDA

postato in: AIDS, HIV | 0

Notizia da Poloinformativo HIV AIDS

U.E. - Droga in Europa. Relazione 2015 dell’EMCDDA

 Di seguito la prefazione della relazione:Siamo orgogliosi di presentare la 20a analisi annuale sulla situazione della droga in Europa, costituita dalla relazione europea sulla droga (EDR) 2015.
Quest’anno, la relazione “Tendenze e sviluppi” contiene una panoramica esaustiva del problema della tossicodipendenza in Europa e delle misure adottate per contrastarlo ed è al centro della serie di prodotti interconnessi comprendente il pacchetto EDR.

Basata su dati europei e nazionali, presenta indicazioni di alto livello su tendenze, risposte e politiche chiave, oltre ad analisi approfondite di temi d’attualità. Il pacchetto include analisi completamente nuove sugli interventi psicosociali, le strutture per il consumo di droghe, l’abuso di benzodiazepine e le rotte del traffico di eroina.

Tuttavia, il pacchetto informativo multimediale integrato che costituisce oggi l’EDR, appare in contrasto con la relazione annuale dell’EMCDDA sulla situazione della droga, pubblicata nel 1996. Vent’anni fa, l’istituzione di sistemi di sorveglianza armonizzati tra i quindici Stati membri dell’UE dev’essere parsa una sfida sconcertante per l’EMCDDA. Pertanto, il fatto che i primi meccanismi di monitoraggio istituiti nel 1995 siano attualmente divenuti un sistema europeo che comprende 30 paesi, riconosciuto a livello globale, rappresenta un risultato impressionante.
Oltre a ritenere che l’EMCDDA abbia offerto un prezioso contributo ai progressi compiuti, riconosciamo anche che il nostro lavoro dipende dalla stretta collaborazione con i nostri partner. Fondamentalmente, l’analisi europea qui presentata è possibile perché gli Stati membri hanno investito nello sviluppo di solidi sistemi nazionali d’informazione sulle droghe.

La presente relazione si basa su dati raccolti dalla rete Reitox dei Punti Focali azionali, che collabora strettamente con esperti nazionali. L’analisi si avvale inoltre della collaborazione costante dei nostri partner europei: la Commissione europea, l’Europol, l’Agenzia europea per i medicinali e il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie. Desideriamo inoltre riconoscere il contributo di numerosi gruppi di ricerca e iniziative europei, senza i quali la nostra relazione sarebbe stata di gran lunga meno ricca.
Negli ultimi 20 anni la nostra Relazione è cambiata al punto da divenire irriconoscibile, ma sono mutate anche la portata e la natura del problema europeo della droga. Quando l’agenzia è stata istituita, l’Europa si trovava nel mezzo di una “epidemia” di eroina e l’esigenza di ridurre la trasmissione dell’HIV e dei decessi causati dall’AIDS erano i principali fattori trainanti della politica in materia di droga. Oggi, sia il consumo di eroina sia i problemi legati all’HIV rimangono d’importanza centrale per la nostra attività di segnalazione, ma si inseriscono in un contesto più ottimistico in termini di sviluppi e, più informato in termini di risposte efficaci della sanità pubblica. Tuttavia, il problema ora è molto più complesso, come dimostra il fatto che molte delle sostanze trattate nella presente relazione fossero praticamente sconosciute in Europa quando l’agenzia è stata istituita.

Oggi, i mercati europei delle droghe continuano a cambiare e ad evolversi rapidamente: nel 2014, ad esempio, sono state individuate più di cento nuove sostanze psicoattive e sono state condotte valutazioni dei rischi su sei nuove droghe — entrambe queste cifre rappresentano dei record. Per mantenere il passo con questi cambiamenti e garantire che l’analisi svolta sia informata sui nuovi sviluppi, l’EMCDDA continua a collaborare strettamente con ricercatori e professionisti del settore. In qualità di agenzia, abbiamo sempre riconosciuto l’importanza di fornire informazioni valide, tempestive e pertinenti alle nostre politiche. Confermiamo l’impegno di perseguire quest’obiettivo e di garantire che, indipendentemente dal tipo di problema da affrontare in materia di droghe, le risposte dell’Europa saranno sostenute da un sistema d’informazione sempre produttivo, pertinente e adeguato allo scopo.

João Goulão
Presidente del Consiglio di Amministrazione dell’EMCDDA

Wolfgang Götz
Direttore dell’EMCDDA

Qui la relazione completa in lingua italiana

——————————

“La relazione annuale dell’Agenzia europea sulle droghe conferma, per l’ennesima volta, che la proibizione legale non rappresenta un freno, ma un potentissimo incentivo alla diffusione delle droghe proibite. Il dato è particolarmente macroscopico nella sua irrazionalità se riferito alle sostanze più diffuse e meno pericolose, cioè i derivati della cannabis, che assorbono la gran parte delle risorse destinate all’attività repressiva (80% dei sequestri e 60% dei reati contestati)”. Lo dichiara il sottosegretario agli Esteri, promotore dell’intergruppo parlamentare per la legalizzazione della cannabis, Benedetto Della Vedova. “Oggi la proibizione assicura enormi e crescenti profitti alle narco-mafie e istituisce una sorta di monopolio criminale su un mercato di massa. È evidente che l’esempio dei numerosi stati americani, a partire dal Colorado, che hanno regolamentato legalmente il mercato della marijuana rappresenta oggi una concreta alternativa al fallimento dell’opzione repressiva. In Italia – prosegue il sottosegretario – a prenderne atto nell’ultima relazione annuale è stata la stessa Direzione nazionale antimafia”. “L’intergruppo parlamentare per la legalizzazione della cannabis, che si è costituito nel marzo scorso e oggi raggruppa oltre 120 tra deputati e senatori, entro un mese presenterà la propria proposta sul tema, integrando i contenuti dei numerosi disegni di legge già depositati in questa legislatura. I dati dell’Agenzia europea – conclude Della Vedova – costituiscono un ulteriore motivo di sprone per la nostra iniziativa”.

Fonte: droghe.aduc.it

 

La faccia dell’ HIV/AIDS: ieri e oggi

postato in: AIDS, HIV | 0

Notizia da Poloinformativo HIV AIDS

La faccia dell' HIV/AIDS: ieri e oggiTyler Curry (Giornalista di HIV EQUAL ), ha creato un cortometraggio sulla differenza tra l’HIV di oggi e l’AIDS di ieri.
Ieri : “..la mia faccia non sarebbe più stata la mia faccia, ma il simbolo stesso della malattia..”

 

 

 

 

 

 

 

 

Oggi : ” …questa non è la mia faccia perchè sono nato nel 1983 e posso lavare via tutto, vivere la mia vita‬ perchè sono uno dei fortunati…”

 

Questo video è  dedicato da HIV Equal ai long-term survivors e a coloro che abbiamo perso nella lotta.
La consapevolezza mostrata da  Tyler ci ha fatto guardare indietro e ricordare tutti coloro che hanno combattuto duramente e hanno perso di fronte ad un virus tanto letale. La sua visione riporta per un attimo ad immagini che abbiamo già visto , alcuni dal vivo, altri solo nella finzione cinematografica , come la faccia di Tom Hanks in Philadelphia.

Ma questo video lascia fondamentalmente un senso di gratitudine per com’è la nostra vita ora finalmente proiettata verso il futuro . Un promemoria da riempire ogni giorno con gratitudine per le cure oggi disponibili e per la capacità di vivere una vita fino in fondo, quando tanti altri prima non hanno potuto farlo.

Ed è anche un modo per combattere lo stigma che ancora pervade la società
Solo una parola: ‪#‎live‬

 

HIV: un farmaco sperimentale per farlo morire di fame

postato in: AIDS, HIV | 0

Notizia da Poloinformativo HIV AIDS

HIV: un farmaco sperimentale per farlo morire di fameScienziati americani hanno sperimentato in vitro un farmaco sperimentale che letteralmente affamerebbe a morte il virus dell’HIV. Una scoperta che potrebbe eliminare il problema delle mutazioni , che il virus sviluppa per difendersi dagli attacchi dei farmaci, perché interessa un meccanismo biochimico fisso.

 

L’Hiv si può far “morire di fame”
Articolo di Gianluca Casponi per galileonet

Il virus dell’Hiv potrebbe essere fermato “tagliandogli i viveri”. L’agente patogeno che causa l’Aids quando infetta una persona si insedia all’interno dei linfociti T Cd4, un sottogruppo di globuli bianchi. Al loro interno il virus avvia il proprio processo replicativo, richiamando una grande quantità di glucosio e altri nutrienti per fornire alla cellula l’energia necessaria a costruire le copie del virus. Proprio questa voracità potrebbe rappresentare un punto debole dell’agente patogeno, che i ricercatori potrebbero sfruttare per mettere a punto una terapia valida.

Il virus dell’Hiv è molto difficile da combattere in conseguenza della sua spiccata capacità di mutare sfuggendo a molte delle terapie sperimentate finora. Il nuovo approccio arriva ora dalla Northwestern e dalla Vanderbilt University, entrambe statunitensi, come raccontano su Plos Pathogens. Gli scienziati hanno scoperto che è possibile intervenire nel percorso biochimico che si attiva all’interno dei linfociti, disattivando l’aumento di richiesta di nutrienti da parte dei linfociti. Il virus, sostanzialmente, viene ucciso lasciandolo morire di fame. Questa forma terapeutica potrebbe rivelarsi decisiva perché interessa un meccanismo biochimico fisso, che rimane uguale a se stesso, qualunque sia il ceppo di Hiv che si vuole combattere.

I ricercatori americani hanno capito che il primo passo che avvia l’entrata dei nutrienti all’interno delle cellula, comporta l’attivazione di una sostanza nota come fosfolipasi D1 (PlD1) che è coinvolta nei meccanismi di trasporto transmembrana dei linfociti. Secondo quanto affermato dagli autori dello studio, si tratta del primo tentativo in assoluto di questo tipo.

I test, che per il momento sono stati condotti con successo in vitro, hanno utilizzato un farmaco sperimentale che inceppa il meccanismo d’azione di PlD1. “La sostanza che abbiamo messo alla prova – spiega Harry Taylor, docente presso la facoltà di medicina della Northwester e componente del team di ricercatori – potrebbe entrare a far parte di un nuovo cocktail di farmaci che migliorino l’efficacia dei trattamenti che abbiamo oggi a disposizione. Bloccare la replicazione del virus costituirebbe una vittoria essenziale, dal momento che gli altri aspetti della biologia dell’Hiv vanno incontro a continui mutamenti, schivando gli attacchi dei farmaci”.

Riferimenti: Plos Biology DOI: 10.1371/journal.ppat.1004864

Fonte:Galileonet

 

Carcere: strutture fatiscenti e assistenza sanitaria di pessima qualità

postato in: AIDS, HIV | 0

Notizia da Poloinformativo HIV AIDS

Strutture fatiscenti e assistenza sanitaria di pessima qualitàE’ allarme salute per i detenuti negli istituti penitenziari italiani: 2 su 3 sono malati, nel 48% dei casi per malattie infettive, il 32% ha disturbi psichiatrici. L’epatite colpisce 1 detenuto malato su 3, mentre sono in riduzione i sieropositivi per Hiv.

E’ la fotografia scattata dagli esperti Società italiana di Medicina e sanità penitenziaria (SIMSPe) per la tutela delle condizioni di salute dei detenuti italiani per il congresso nazionale che si aprirà mercoledì a Cagliari. Sono 199 gli istituti penitenziari aperti, con una capienza totale di 49.493, nonostante i detenuti presenti siano 53.498, per un sovraffollamento di 4.628, che equivale ad un +8,1%. I detenuti stranieri rappresentano il 32,6% del totale, pari a 17.430, mentre le donne sono 2.309, ossia il 4,3%.

 

Secondo l’indagine, che sarà presentata durante il congresso, almeno una patologia è presente nel 60-80% dei casi. Questo significa che almeno due persone su tre sono malate. Tra le malattie più frequenti, proprio quelle infettive, che interessano il 48% dei presenti. A seguire i disturbi psichiatrici (32%), le malattie osteoarticolari (17%), quelle cardiovascolari (16%), problemi metabolici (11%) e dermatologici (10%). Una situazione che, nonostante l’appello della SIMSPe si è fatta portavoce negli ultimi anni, non ha sortito l’effetto sperato. Gli ultimi dati sulle epatiti, infatti, hanno rilevato la presenza di un malato di questa patologia ogni tre persone residenti in carcere. Mentre sono in calo i sieropositivi per Hiv.

 

“Bisogna ricordare che il paziente detenuto di oggi, è il cittadino libero di domani – afferma Sergio Babudieri, presidente della SIMSPe – Tutte le informazioni di tipo scientifico ed epidemiologico, sia in Italia che all’estero, indicano sempre lo stesso punto, ossia che in carcere si concentrano persone che hanno comportamenti di vita che sono a rischio dell’acquisizione di una serie di malattie non solo infettive, ma anche di tipo metabolico, come ad esempio obesità, fumo, alcolismo; da ciò si evince evidentemente che il carcere è un ambito in cui la sanità pubblica può più facilmente intercettare persone che, una volta invece diluite nella popolazione generale, è più difficile incontrare, anche perché per il loro stile di vita spesso non hanno il bene salute nei primi posti della loro scala dei valori”.

 

La popolazione detenuta in Italia è cresciuta negli ultimi dieci anni dell’80% – ricordano i medici penitenziari – La maggior parte delle carceri ha dei tratti comuni: bagno e cucina nello stesso locale, cambio di lenzuola ogni 15 giorni, bagno alla turca o water separati gli uni dagli altri da un muretto alto appena un metro, strutture fatiscenti. Il personale è insufficiente, gli assistenti sociali sempre meno del necessario. L’assistenza sanitaria, come si può facilmente intuire da questo quadro, può risultare spesso di pessima qualità.

 

“Bisogna ricordare che il paziente detenuto di oggi, è il cittadino libero di domani – chiosa Babudieri – Tutte le informazioni di tipo scientifico ed epidemiologico, sia in Italia che all’estero, indicano sempre lo stesso punto, ossia che in carcere si concentrano persone che hanno comportamenti di vita che sono a rischio dell’acquisizione di una serie di malattie non solo infettive, ma anche di tipo metabolico, come ad esempio obesità, fumo, alcolismo; da ciò si evince evidentemente che il carcere è un ambito in cui la sanità pubblica può più facilmente intercettare persone che, una volta invece diluite nella popolazione generale, è più difficile incontrare, anche perché per il loro stile di vita spesso non hanno il bene salute nei primi posti della loro scala dei valori”.

 

Infine, secondo l’indagine della SIMSPe, che ha studiato i singoli casi dei detenuti che si sono sottoposti a test e controlli (circa il 56%), il tasso di trasmissione stimato dalle persone positive all’Hiv consapevoli si aggira tra l’1,7% e il 2,4%. Molto più alto, quasi 6 volte superiore, quello stimato dalle persone Hiv positive inconsapevoli, che raggiunge il 10%.

Fonte:  Focus.it (AdnKronos Salute)

 

Primo Piano – Vaccino Tat, potenziata l’efficacia della terapia antiretrovirale e stimolato il sistema immunitario

I risultati della seconda fase di sperimentazione del vaccino Tat pubblicati oggi su Retrovirology

ISS 29 aprile 2015

Il Vaccino Tat in associazione alla terapia farmacologica (HAART) è in grado di stimolare il sistema immunitario di un paziente con HIV aumentando l’efficacia degli antiretrovirali e di aumentare sensibilmente le cellule T CD4+, bersaglio del virus. È questo il risultato della seconda fase di sperimentazione del vaccino Tat, messo a punto dall’équipe guidata da Barbara Ensoli, Direttore del Centro Nazionale Aids dell’Istituto Superiore di Sanità, condotta su 168 pazienti, seguiti per tre anni consecutivi, in undici centri clinici italiani diffusi in tutta la penisola.

Ai pazienti con infezione da HIV è stato somministrato il vaccino alle dosi di 7.5 o 30 microgrammi di proteina Tat una volta al mese, per 3 o 5 mesi con l’obiettivo di indurre anticorpi diretti contro questa proteina, essenziale per la replicazione del virus. I risultati dello studio indicano che nei pazienti vaccinati, oltre ad essere stati prodotti gli anticorpi contro la proteina Tat, è stato osservato anche un significativo aumento di cellule T CD4+, indicativo della ripresa del sistema immunitario. Anche delle cellule T e B, e di altre cellule immunitarie, è stato osservato un incremento.
La risposta maggiore è stata riscontrata nei soggetti che hanno ricevuto tre somministrazioni del vaccino contenente 30 microgrammi della proteina Tat. Questi effetti persistono nei tre anni successivi all’immunizzazione.

Abbiamo dimostrato per la prima volta che la terapia antiretrovirale può essere intensificata attraverso un vaccino – ha detto Barbara Ensoli, che si attende di confermare questi risultati con il trial di fase II randomizzato e controllato con placebo recentemente completato in Sudafrica – Si tratta di risultati che aprono nuovi scenari per indagare più specificamente se questo vaccino può aiutare a controllare il virus in pazienti con bassa aderenza alla terapia antiretrovirale, consentire la semplificazione della terapia, ridurre la trasmissione della malattia.

In parallelo alla sperimentazione, è stato condotto uno studio osservazionale separato su un gruppo di 79 pazienti in trattamento con la sola terapia antiretrovirale. Tale gruppo ha rappresentato il riferimento per lo studio dei biomarcatori della malattia. È stato possibile così osservare che in coloro ai quali era stato somministrato anche il vaccino si è verificata una riduzione significativa del DNA provirale di HIV che funge da indicatore della forma latente del virus nei cosiddetti serbatoi del virus.

Si tratta di un risultato importante poiché, nonostante i farmaci blocchino quasi completamente la replicazione virale, il virus può ancora replicare a bassi livelli ed accumularsi in forma latente nei serbatoi non suscettibili all’azione dell’HAART e può causare complicazioni e morte dovute a patologie diverse da quelle tipicamente associate all’AIDS.

Hiv: Italia all’avanguardia nella cura dei pazienti, premiati i giovani ricercatori

postato in: AIDS, HIV | 0

Notizia da Poloinformativo HIV AIDS

Sono 11 i progetti finanziati dall’UE guidati da leadership italiana. Migliorano le cure nonostante manchi ancora un vaccino per l’Hiv. Rimane il problema del sommerso. In arrivo nuovi programmi per reperire fondi. È quanto emerso alla VII Conferenza italiana su Aids e retrovirus (Icar) in corso a Riccione.

Individuare percorsi di diagnosi e cura dell’infezione da Hiv che si basino sulle interazioni tra ricerca di base, ricerca diagnostico-clinica ed esigenze delle persone sieropositive.
È questo l’obiettivo della VII Conferenza italiana su Aids e retrovirus (Icar) in corso a Riccione che ha visto protagonisti i giovani ricercatori italiani e stranieri.E Letizia Marinaro dell’Università di Torino si è aggiudicata il Premio ICAR-CROI Awards 2015 per i giovani ricercatori italiani.

Il primato italiano. La ricerca italiana è all’altezza delle altre nazioni europee, ha ricordato Adriano Lazzarin, della Divisione di malattie infettive Irccs San Raffaele e Presidente Icar. E il principio alla base di questa affermazione è molto semplice: “i farmaci antiretrovirali sono disponibili per tutti. L’Italia è stata efficiente anche nell’ottenerli nella fase di sviluppo; si dovrebbe rendere più rapida la registrazione per averli a disposizione”.

Un vantaggio del sistema italiano è che ha fatto un piano di intervento ministeriale con una legge centrata sui professionisti di settore (centri e ambulatori di malattia infettiva, distribuzione farmaci negli ospedali) (L. 135/90). La retention in care è assolutamente più efficace in Italia che in tutti gli altri Paesi occidentali: quello italiano è un modello di intervento da esempio per gran parte del resto del mondo, che porta ad una viremia negativa dell’80% dei pazienti seguiti. Negli Usa, ad esempio, i molteplici passaggi necessari dal test alla cura fino al medico di medicina generale porta a risultati molto più modesti (50%).

Risorse economiche. Un passo in avanti ci sarà sul fronte del sostegno economico. Come annunciato da Stefano Vella, Direttore del Dipartimento del Farmaco dell’Iss “un nuovo modello di cooperazione tra gli stati membri con un progetto denominato EDCTP Plan permetterà a breve un nuovo slancio per il reperimento dei fondi, a garanzia della salute globale e della ricerca”.

Ci sono le cure, non un vaccino. Ad oggi, un vaccino per l’Hiv non esiste. È stata una chimera inseguita dai primi ricercatori più negli anni ’80, spiega Lazzarin “il problema principale è che un vaccino facile da costruire si ricava da un anticorpo che inattiva il virus e lo blocca; per l’Hivciò non può essere realizzabile, poiché gli anticorpi neutralizzanti, laddove esistano, non sono in grado di bloccare l’infezione una volta che è entrata nella cellule. Quindi il problema di non acquisire l’infezione si può risolvere cercando di far produrre anticorpi contro il virus, ma ad oggi nessun anticorpo da solo sembra in grado di neutralizzare l’infezione”.

Si possono dunque solamente potenziare le difese immunitarie contro il virus. Con la cosiddetta vaccinazione terapeutica e non preventiva che viene aperta una finestra sul rafforzamento delle risposte immunitarie attraverso le cellule che generano anticorpi: l’organismo sottoposto alla vaccinazione riuscirebbe così a potenziare la capacità di produrre anticorpi attraverso lo stimoli di cellule dendritiche. Le cellule dendritiche sono le prime colpite dall’infezione, che poi passano ai linfociti. Il risultato delle dimostrazioni effettuate finora non ha però mostrato il vaccino come un obiettivo facilmente perseguibile. In merito a quegli studi internazionali che prefigurano risultati rivoluzionari dunque si può essere ottimisti, ma con molta cautela.

Test e prevenzione. Resta il problema del “sommerso”, ovvero di coloro che ignorano di essere infetti. Oggi, il comportamento maggiormente a rischio per il sommerso sono i rapporti omosessuali tra giovani maschi; discorso a parte va fatto per gli immigrati, il cui discorso è complesso in quanto rappresentano il sommerso per eccellenza, mentre le diverse caratteristiche etniche e la provenienza geografica generano notevoli differenze per il rischio di infezione.
“Bisogna stimolare le persone, oltreché con la campagna di informazione/prevenzione, soprattutto all’esecuzione dei test – ha aggiunto Lazzarin – è necessario rivolgersi a singoli, in particolare ai giovani”. Spesso i metodi più semplici vengono ignorati: per chi ha raggiunto una certa età, il test dell’HIV può essere effettuato assieme a quello delle malattie più comuni. I più giovani, che sono anche i meno motivati, devono essere sollecitati e avere a disposizione strumenti semplici, come il moderno test salivale, in uso anche per l’epatite C.

 

FONTE: quotidianosanità.it

 

1 2 3 4 5 6 7 8 22